26.10.2022

Torturato in Libia, per 8 anni ha vissuto sotto falso nome in Trentino: l’odissea di “Abdul”

Il Dolomiti - 26 Ottobre 2022

Torturato in Libia, per 8 anni ha vissuto sotto falso nome in Trentino: l’odissea di “Abdul” che in Valsugana ha trovato anche l’amore

La storia di Abdul, costretto a fuggire dalla Libia dopo essere stato arrestato dai miliziani e arrivato fino in Trentino dove ha dovuto affrontare un difficile processo. Una sentenza che potrebbe fare scuola con il Tribunale di Trento che riconosce come i migranti rimpatriati in Libia corrano il rischio di essere esposti “a trattamenti inumani e degradanti”

Di Tiziano Grottolo - 26 ottobre 2022 - 19:24

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TRENTO. In un certo senso quella emessa dal Tribunale di Trento potrebbe essere una sentenza che fa scuola, almeno per quanto riguarda i processi ai migranti arrivati in Italia per fuggire dalla guerra.

La vicenda riguarda un giovane gambiano, Abdul (il nome è di fantasia), arrivato in Italia nel 2011 dopo aver attraversato il Mediterraneo a bordo di un gommone. Il ragazzo però, approdato a Lampedusa, al momento di fornire le proprie generalità per espletare le pratiche per la domanda di asilo aveva fornito un nome falso sostenendo di essere originario della Guinea.

Così sui documenti di Abdul sono stati trascritti un nuovo nome e una nuova nazionalità. Ma cosa ha spinto il giovane a una scelta così drastica? Come accertato durante l’udienza Abdul aveva della valide ragioni per agire in quel modo ma per comprenderle bisogna fare un salto indietro nel tempo.

Nel 2004 Abdul era arrivato in Libia per lavorare come falegname e muratore poi però è scoppiata la guerra civile. Nel 2011 Abdul si trovava al mercato quando venne arrestato dai miliziani che annotarono il suo nome e lo torturarono. Il giovane venne liberato solo dopo che il suo datore di lavoro pagò un riscatto di 1.000 dinari, al momento del rilascio però i miliziani minacciarono Abdul: se lo avessero incontrato nuovamente lo avrebbero ammazzato.

Il ragazzo del Gambia decide quindi di fuggire assieme ad altri giovani come lui. Visto che la Libia è in preda al caos e si combatte in tutto il Paese l’unica via di fuga percorribile porta in Italia, attraverso il Mediterraneo. Eppure è proprio per questo che Abdul decide di fornire delle false generalità alle autorità italiane: temeva di essere rimpatriato in Libia dove i miliziani avrebbero potuto riconoscerlo e ucciderlo.

Riprendendo la storia da dove era stata lasciata Abdul da Lampedusa finisce in Trentino (con un passaggio a Gorizia) dove porta con sé i suoi documenti con il nome inventato. Qui formalizza la richiesta di asilo tramite la Questura di Trento e con questa ottiene una carta d’identità e successivamente anche una patente rilasciate dal comune di Levico Terme. In Valsugana Abdul si costruisce una nuova vita, impara l’italiano, va a scuola e ottiene il diploma, poi si specializza con dei corsi di carpenteria e riprende la sua professione di falegname.

Non solo, perché il giovane costruisce anche una relazione con quella che era stata la sua insegnante di italiano. Abdul di fatto ricomincia una nuova vita lontano dalla guerra e trova il coraggio di rivelare la sua vera identità alla nuova compagna. Una volta trasferitosi a Padova con la compagna ottiene anche un lavoro a tempo indeterminato tanto da convertire il permesso di soggiorno concesso per motivi umanitari in uno lavorativo.

Nel novembre 2019 arriva una svolta importante: Abdul, al momento dell’aggiornamento del permesso di soggiorno (ottenuto per motivi umanitari), decide di non nascondersi più e raccontare tutto alle autorità. Dopo aver vissuto per circa 8 anni con un nome falso e una cittadinanza che non era la sua Abdul ha voluto riappropriarsi della sua identità anche a costo di affrontare un processo.

Fra i motivi che hanno spinto Abdul a venire allo scoperto, oltre che al sostegno ricevuto dalla compagna, c’è la morte del padre avvenuta nel 2016, senza che il ragazzo potesse partecipare ai funerali. Il giovane non vedeva la propria famiglia da quando aveva lasciato il Gambia e sapendo della madre malata avrebbe voluto salutarla almeno un’ultima volta. Nel frattempo anche i ricordi delle minacce e delle torture subite in Libia si erano affievoliti tanto da far prendere al giovane coraggio e di fatto autodenunciarsi.

Così si è aperto il processo a carico di Abdul che è stato difeso con successo dall’avvocato Giovanni Guarini. Nonostante i reati siano acclarati il Tribunale, in accordo con il pubblico ministero e le tesi sostenute dall’avvocato Guarini, ha ritenuto di assolvere Abdul proprio per via delle motivazioni che indussero il giovane a mentire fornendo delle false generalità.

Non solo, perché il Tribunale di Trento riconosce che i migranti “possano essere concretamente esposti a rischio di trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio in Libia”. Inoltre per i giudici “è chiaro che, prima dell’ottenimento di lavoro a tempo indeterminato, la precarietà della condizione di cittadino straniero con un permesso di soggiorno a termine per motivi umanitari esponeva Abdul (il nome è inventato ndr) al rischio di ricadere in una posizione di irregolarità e quindi al rischio di rimpatrio” che avrebbe potuto costare la vita al giovane. È alla luce di queste considerazioni che Adul è stato assolto con la formula che “il fatto non costituisce reato”, questo perché il tribunale ha ritenuto che il giovane abbia fornito delle false generalità costretto dallo stato di necessità.

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