Naspi e contratto di lavoro intermittente: rilevano solo le effettive giornate di lavoro

Corte d'Appello di Trento Sezione lavoro Sentenza 29/07/2022 n 38 Giudice Dott.ssa Anna Maria Creazzo
Sentenza in sintesi:
L'effetto sospensivo del diritto alla NASPI si produce solo per i contratti di lavoro intermittente con obbligo di risposta mentre, per i contratti di lavoro intermittente senza obbligo di risposta, tale effetto sospensivo è ricollegato soltanto alle giornate "di effettiva prestazione lavorativa".
testo della sentenza:

Corte d'Appello Trento, Sez. lavoro, Sent., 29/07/2022, n. 38

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Trento Sezione per le CONTROVERSIE DI LAVORO riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:

1.Dott.ssa Anna Maria Creazzo - Presidente rel.

2.Dott. Ugo Cingano - Consigliere

3.Dott.ssa Camilla Gattiboni - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile per le CONTROVERSIE DI LAVORO in grado di appello iscritta a ruolo in data 25/01/2022 al n. 6/2022 R.G. LAVORO promossa con ricorso in appello d.d. 25/01/2022

DA

ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE (c.f. (...) - P. IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli Avv. Marta Odorizzi e dall'Avv. dall'Avv. Carlo De Pompeis del Foro di Trento, per procura generale alle liti del (...) Rep. n. (...) a rogito P.C. di R., con domicilio eletto in Trento Via Orfane n. 8

APPELLANTE -

CONTRO

G.M. nato il (...) residente in Via C. V. 7, 38066 R. del G. T. C.F. (...), rappresentato e difeso come da procura speciale a margine del ricorso di primo grado sub RG 46/2021 Tribunale di Rovereto dall'Avv. Giovanni Guarini del Foro di Rovereto (TN), con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, sito in 38068 Rovereto TN, Piazza del Podestà, 10

APPELLATO -

OGGETTO: Ripetizione di indebito.

Appello avverso la sentenza n. 40/2021 pubblicata il 27/07/2021 del Tribunale di Rovereto, Sezione lavoro.

Causa ritenuta in decisione sulla base delle seguenti

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale di Rovereto in data 29 marzo 2021 G.M. conveniva in giudizio l’ INPS sede di Trento esponendo di aver prestato attività lavorativa, nell'anno 2018, con contratti di "lavoro intermittente senza indennità di disponibilità", per l'impresa E.E., ed a tempo determinato per la H., attività svolte per meno di sei mesi. Con lettera del 4 novembre 2019 l'INPS aveva richiesto la restituzione della somma di Euro 4.637,31, corrisposta a titolo di NASPI, in quanto non spettante " a seguito di ripresa lavoro con contratti di lavoro che si susseguono senza soluzione di continuità di periodo superiore a sei mesi".

Assumeva il ricorrente, con riferimento al lavoro "intermittente" svolto che, come chiarito dallo stesso convenuto con la circolare n.142/2013 , il lavoratore assunto con tale tipo di contratto, poteva essere considerato "effettivamente occupato" soltanto per le giornate concretamente lavorate.

In particolare deduceva che, con il contratto di lavoro intermittente senza indennità di disponibilità, per cui non sussiste obbligo di risposta del lavoratore alle eventuali chiamate del datore di lavoro, nei periodi non lavorati non si instaurava alcun rapporto di lavoro.

Nel caso concreto in esame il ricorrente, né con l'impresa E. né con la s.r.l. H., era mai stato occupato, senza soluzione di continuità, per più di sei mesi.

Infatti, per E. aveva prestato la sua attività per sei giorni a marzo, per 13 giorni ad aprile, per 17 giorni a maggio, per un giorno a settembre, per nove giorni ad ottobre, con cessazione al 10 novembre 2018; per H. aveva lavorato dall'1 giugno al 30 settembre , con proroga fino al 31 ottobre 2018.

Non si erano dunque verificati i presupposti per la decadenza dal diritto di ricevere l'indennità.

In ogni caso le erogazioni assistenziali erano irripetibili, come statuito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, e dunque anche per questa ragione la pretesa dell'INPS era infondata.

Concludeva pertanto chiedendo l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento con cui era stata affermata la decadenza dal diritto di ricevere l'indennità Naspi, e l'insussistenza del diritto dell'INPS a ripetere la somma erogata a tale titolo.

Si costituiva in giudizio l'INPS e, premessa la ricostruzione della disciplina in tema di indennità di disoccupazione, rilevava che, nel caso concreto, il lavoratore era decaduto dal diritto a far data dal 12 marzo 2018 per effetto della rioccupazione con rapporti di lavoro susseguitisi nel tempo , senza soluzione di continuità, per periodi singolarmente non superiori a sei mesi "ma la cui somma (aveva) superato il limite dei sei mesi", con conseguente superamento del confine temporale previsto dalle norme richiamate per la conservazione del diritto all'indennità in questione.

Osservava inoltre che l'indennità non aveva natura assistenziale, e dunque la giurisprudenza richiamata dal ricorrente per sostenere l'irripetibilità delle somme ricevute non era pertinente.

Concludeva pertanto per il rigetto della domanda.

Con sentenza n.40/2021, emessa in data 27 luglio 2021, il Tribunale accoglieva il ricorso proposto, rilevando che il rapporto di lavoro intermittente senza indennità di disponibilità non poteva essere equiparato de plano ad un lavoro subordinato e, di conseguenza, produceva l'effetto sospensivo della prestazione Aspi con riferimento ai soli giorni di effettiva occupazione, e non per l'intero periodo di vigenza del contratto.

Non si era dunque verificato il presupposto a cui l'INPS aveva ricollegato la decadenza dal diritto vantato dal ricorrente.

Avverso la sentenza ha proposto appello l'INPS deducendo, con il primo motivo, come il primo Giudice avesse erroneamente ricostruito in fatto la fattispecie oggetto di giudizio così "generando" l'errore da cui era viziata la decisione.

In particolare, mentre nel caso concreto in esame si trattava della NASPI, il primo Giudice aveva considerato la diversa indennità ASPI e, richiamando precedenti giurisprudenziali non pertinenti, aveva affermato che l'effetto sospensivo del diritto alla predetta indennità era riferibile ai soli giorni in cui il beneficiario aveva lavorato, e non per l'intero periodo in cui il contratto di lavoro era in essere.

In realtà l'INPS aveva considerato sussistente una causa di decadenza del tutto indipendente dai giorni lavorati, collegata al periodo di tempo in cui il lavoratore era stato occupato con contratti di lavoro diversi, ma per periodi che dovevano essere sommati.

In particolare, i più contratti di lavoro intermittente, senza soluzione di continuità, prorogati nel tempo, stipulati dall'appellato avevano determinato "complessivamente un'attività lavorativa superiore a sei mesi", quindi la decadenza dal diritto alla prestazione previdenziale per il superamento del limite dei sei mesi, nel caso concreto verificatosi il 12 marzo 2018.

L'errore di impostazione aveva causato l'errore nella decisione, "ovvero nella motivazione…che si rivela(va) semplicistica ed insufficiente".

Con il secondo motivo l'appellante ha contestato la valutazione della natura giuridica dei rapporti di lavoro instaurati dal G..

Ha, in proposito, osservato che anche la dottrina che escludeva la natura di lavoro subordinato dei rapporti in questione, comunque li riteneva tali pur "se limitatamente per il periodo in cui …l'attività lavorativa" era prestata.

Anche "sotto il profilo strettamente previdenziale", i rapporti in esame erano considerati di natura subordinata, "a maggior ragione nel momento in cui, come nella fattispecie di causa, il datore di lavoro si (era) avvalso del lavoratore" e quest'ultimo aveva "risposto positivamente alla chiamata e (aveva) prestato attività lavorativa, anche se limitata e discontinua".

Trovavano dunque applicazione le ordinarie previsioni dettate dall'ordinamento previdenziale secondo il settore di attività nel quale il lavoratore era impiegato, con gli adattamenti previsti, in ordine alla retribuzione ed alla contribuzione, in caso di prestazione di attività inferiore a quella contrattualmente prevista per la generalità dei lavoratori, dal D.Lgs. n. 276 del 2003 .

Il lavoratore intermittente aveva diritto, all'assegno familiare ed all'indennità di disoccupazione "limitatamente ai giorni non lavorati e non coperti da indennità di disponibilità", istituti propri del lavoro subordinato e, come tale, doveva dunque essere considerato.

Con il terzo motivo, l'appellante ha contestato la dedotta irripetibilità dell'indebito, in quanto, non avendo la prestazione natura assistenziale, non potevano trovare applicazione, come preteso dal G., i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità nella diversa materia assistenziale.

Ha quindi concluso chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto delle domande avanzate dall'appellato.

Si è costituito in giudizio G.M. il quale ha dedotto l'infondatezza dell'appello e, replicando punto per punto alle argomentazioni dell'appellante, ne ha chiesto il rigetto.

La causa, trattata in forma scritta con applicazione delle disposizioni dettate per il contenimento dell'emergenza sanitaria, è stata discussa all'udienza del 9 giugno 2022, con acquisizione delle note d'udienza depositate dalle parti e immediatamente decisa con deposito telematico del dispositivo.

Motivi della decisione

La questione coinvolta dall'appello avanzato attiene alla permanenza, o meno, del diritto all'indennità NASPI nonostante lo svolgimento di attività lavorativa, fattispecie regolata dagli artt.9 e 10 del D.N. che prevedono la sospensione della prestazione indennitaria e la decadenza dalla stessa.

In particolare, secondo le norme richiamate, lo stato di disoccupazione si considera soltanto sospeso, con conseguente mancata erogazione dell'indennità, se il reddito ricavato dalle attività lavorative non supera il reddito minimo escluso da imposizione fiscale e se il periodo in cui è svolta l'attività non supera i sei mesi.

Mentre nel caso della sospensione permane il diritto ed è solo sospesa l'erogazione dell'indennità, che continuerà ad essere corrisposta alla data di cessazione delle attività temporanee, se le suindicate condizioni non sono presenti il lavoratore decade dal diritto di percepire le indennità che non sono più dovute.

Ciò posto, i contratti di lavoro conclusi dal G. non sono in discussione, né i periodi di tempo in cui è stata effettivamente prestata attività lavorativa.

Alla luce delle disposizioni che la regolano, appare evidente che la nuova Aspi sia ispirata ad una logica di compatibilità con attività lavorative purchè di tipo marginale, quindi limitate sia nel tempo sia nell'entità del reddito ricavato.

L'appellante, come chiarito con il messaggio del marzo 2018, ritiene che l'effetto sospensivo del diritto alla NASPI si produca solo per i contratti di lavoro intermittente con obbligo di risposta mentre, per i contratti di lavoro intermittente senza obbligo di risposta, tale effetto sospensivo è ricollegato soltanto alle giornate "di effettiva prestazione lavorativa".

La decadenza si determina invece quando il periodo di rioccupazione supera i sei mesi.

Si tratta quindi di definire questo ambito di compatibilità tra svolgimento di attività lavorativa e NASPI.

Nel caso concreto, l'INPS ha considerato il diritto a percepire la detta indennità sospeso soltanto per le giornate effettivamente lavorate, ma ha ritenuto decaduto l'appellato dallo stesso diritto per superamento del limite temporale dei sei mesi, a prescindere dal numero di giornate di lavoro concretamente prestato.

Afferma, in particolare, l'INPS che "la presenza di più contratti intermittenti senza soluzione di continuità, contratti prorogati nel tempo, determinano complessivamente un'attività lavorativa superiore a sei mesi e … ciò comport(a) la decadenza della prestazione per superamento dei limiti di legge", ragione per cui era stata richiesta la restituzione delle prestazioni erogate, pari ad Euro 4.637,31, per il periodo dal 12 marzo 2018 al 28 febbraio 2019.

In detto periodo, secondo l'INPS, la durata dei rapporti di lavoro intrattenuti con l'impresa E.E. e con la S.r.l. H. era "complessivamente" superiore a sei mesi: infatti, sebbene i contratti in questione fossero "singolarmente inferiori ai sei mesi…complessivamente " ( e cioè tra loro sommati, erano "superiori" a detto periodo.

Trae questa conseguenza l'appellante asserendo che il contratto di lavoro intermittente doveva essere considerato di natura subordinata, con la conseguenza della applicabilità, "in quanto compatibile" della disciplina propria di questa tipologia di contratti.

A prescindere dalla correttezza dell'inquadramento dogmatico, anche volendo ricomprendere i contratti in questione nell'alveo di quelli subordinati, è comunque necessario valutare la "compatibilità" degli istituti in esame (sospensione del diritto a percepire la Naspi e decadenza dallo stesso diritto) con i particolari contratti stipulati dal G..

Allo scopo non sono conducenti i precedenti giurisprudenziali citati dall'appellante, afferenti agli obblighi in tema di sicurezza sul lavoro a carico del datore di lavoro anche nei confronti dei lavoratori assunti con questo tipo di contratti, ed alla possibilità di aprire la crisi aziendale in caso di simili assunzioni, rispetto a cui non appare seriamente prospettabile una questione di compatibilità della disciplina in considerazione (quanto a sussistenza degli obblighi posti a carico del datore di lavoro) con questo tipo di rapporti.

Nel caso concreto in esame si tratta invece di valutare se il richiedente la prestazione Naspi sia rimasto entro i limiti posti per la fruizione del diritto, come configurato dalle norme che la regolano, delineati dal reddito ricavato dalle attività svolte e dal tempo della rioccupazione.

Tenuto presente il fine sopra ricordato, non può non essere rilevato che , come già questa Corte ha avuto modo di osservare con la sentenza richiamata dal Giudice di primo grado, la prestazione resa con i contratti di lavoro in questione (lavoro intermittente senza indennità di disponibilità) "è una prestazione di lavoro subordinato" ma, a differenza di altri contratti, "non vi è a monte nemmeno la certezza di una prestazione lavorativa finché le parti non si determinano a ciò, e non vi è alcuna continuità sul piano… assicurativo contributivo…" (sent. n.5/2018).

Questa peculiare struttura del rapporto di lavoro intermittente senza obbligo di risposta fa si che il contratto stipulato non produca alcun effetto (neanche l'obbligo del lavoratore di offrire la prestazione qualora il datore di lavoro ritenga di avvalersene ), se non quando il datore di lavoratore richieda la prestazione ed il lavoratore si determini a prestarla.

Appare quindi conseguenziale a questa configurazione, con riferimento alla indennità Naspi, ritenere attività lavorativa rilevante, e non solo ai fini della sospensione, esclusivamente quella effettivamente prestata.

Né valgono a contrastare questa conclusione le norme richiamate dall'INPS in tema di minimo contributivo e di riproporzionamento del trattamento economico che, appunto, mirano ad adattare gli istituti richiamati a questo particolare contratto, né gli ulteriori diritti riconosciuti al lavoratore a cui lo stesso Ente fa riferimento, peraltro tutti rigorosamente "calibrati" sulle giornate effettivamente lavorate, che rendono evidente la profonda differenza esistente fra contratto di lavoro intermittente con obbligo di risposta, e contratto di lavoro intermittente senza tale obbligo.

Così il riproporzionamento è modellato dall'art.16  del D.Lgs. n. 81 del 2015  "in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonche' delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternita', congedi parentali". La stessa norma prevede però che "per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro non e' titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati ne' matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l'indennita' di disponibilita' di cui all'articolo 36.", da cui sono , ovviamente, esclusi i lavoratori assunti con contratti che non prevedono obbligo di risposta.

Analogamente, soltanto i lavoratori assunti con contratti che prevedono l'obbligo di risposta sono ammessi alla contribuzione volontaria per i periodi non lavorati in cui hanno percepito l'indennità, per la differenza fra quanto versato su quest'ultima e la retribuzione convenzionale (cfr art.16  D.Lgs. n. 81 del 2015  cit.).

Da ultimo, come sottolineato dall'appellato mentre, come traspare dalle stesse circolari INPS(n.1162/2018) appare perfettamente rispondente alla logica dell'Istituto ricollegare la decadenza nel caso di sospensione della prestazione che si prolunghi per più di sei mesi, per rioccupazione del lavoratore con più rapporti a tempo determinato che si susseguano senza soluzione di continuità per tale periodo, non così può ritenersi nel caso di contratto di lavoro intermittente senza obbligo di risposta. Infatti, per tale tipologia di contratto, la sospensione opera solo per le giornate effettivamente lavorate, in rispondenza alla configurazione di un rapporto che per parte della dottrina fuoriesce, addirittura, dallo schema del lavoro subordinato per essere più coerentemente inquadrato nell'area dell'autonomia, data la libertà del lavoratore di rispondere o meno alla chiamata del datore di lavoro.

Alla luce delle esposte considerazioni, che rendono superfluo l'esame del secondo motivo di appello, deve pertanto ritenersi corretta la decisione del primo Giudice che deve essere confermata.

La peculiarità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta l'appello proposto dall'I.N.P.S. avverso la sentenza n. 40/2021 emessa in data 27 luglio 2021 del Tribunale di Rovereto G.d.L..

Dichiara interamente compensate le spese del giudizio.

Dichiara che sussistono i presupposti per l'applicazione del disposto di cui all'art. 13  comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 .

Conclusione

Così deciso in Trento, il 9 giugno 2022.

Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2022.

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