N. R.G. 344/2023
Sentenza n. 189/2024 pubbl. il 12/11/2024 RG n. 344/2023
REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO sezione lavoro
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella persona fisica del magistrato Giorgio Flaim pronunzia la seguente
SENTENZA
nella causa per controversia in materia di previdenza ed assistenza ricorso depositato in data 25.9.2023 da xxx rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Guarini pec giovanni.guarini@pec.it
ricorrente
contro
I.N.P.S.
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Raimund Bauer pec avv.raimund.bauer@postacert.inps.gov.it e dall’avv. Marta Odorizzi, pec avv.marta.odorizzi@postacert.inps.gov.it
convenuto
CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE
“Ogni contraria istanza disattesa ed eccezione respinta, accogliere il presente ricorso e, conseguentemente:
- accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale dell'INPS per aver fornito al sig. xxx informazioni inesatte ed incomplete e/o per non avergli fornito le informazioni dovute ex lege;
- condannare l’ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento di € 31.130,00 titolo risarcitorio o la maggiore o minore somma che il Giudice riterrà equa;
- conseguentemente dichiarare compensata la richiesta di credito formulata da INPS pari alla somma di € 31.567,75 con il credito vantato a titolo risarcitorio dal ricorrente pari ad € 31.130,00 e di conseguenza ridurre il debito del signor xxx ad € 437,00 o la maggiore o minore somma che si riterrà equa.
Oltre alla rifusione delle spese del presente giudizio ed oneri di legge”
CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA
“Respingere il ricorso in quanto infondato in diritto e non provato e per l’effetto rigettare tutte le domande formulate dalla parte ricorrente nei confronti dell’INPS. Spese di causa rifuse”
MOTIVAZIONE
la domanda proposta dal ricorrente
Il ricorrente xxx –
premesso che:
✓ in data 12.3.2019 veniva licenziato per giusta causa;
✓in data 13.3.2019 presentava domanda di attribuzione dell'indennità di
disoccupazione NASpI (doc. 1 fasc. ric.).
✓ in data 19.3.2019 (quindi durante il periodo di carenza di 38 giorni a decorrere
dall’efficacia del licenziamento, secondo la previsione ex art. 6 co.2 d.lgs. 4.3.2015, n. 22 e i chiarimenti contenuto al punto 2.6., lett. f) e al punto 2.7. n. 4 della circolare I.N.P.S. n. 94 del 12.5.2015) iniziava un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato, in origine con termine finale al 30.3.2019, successivamente prorogato al 31.7.2019 (come emerge dal “Percorso lavoratore” rilasciato dal Centro per l'impiego di Trento sub doc. 4 fasc. ric.),
✓ in data 25.3.2019 e in data 8.4.2019 egli provvedeva, pur non essendo obbligato, a comunicare all'I.N.P.S., rispettivamente, l'inizio del nuovo rapporto e la successiva proroga del termine finale (doc. 5 fasc. ric.);
✓ in data 2.5.2019 l’I.N.P.S. accoglieva, con decorrenza dal 19.4.2019, la domanda presentata dal ricorrente il 13.3.2019 (doc. 7 fasc. ric.).
✓ in relazione al periodo 19.4.-31.7.2019 l’I.N.P.S. sospendeva, ai sensi dell’art. 9 co.1 d.lgs. 22/2015, l’erogazione dell’indennità NASpI;
✓ posteriormente al 31.7.2019 si susseguivano periodi di disoccupazione (doc. 4 fasc. ric.), in ordine i quali egli riceveva l’indennità NASpI, e periodi di lavoro a tempo determinato di durata inferiore a sei mesi (doc. 4 fasc. ric.), in ordine ai quali l’I.N.P.S. sospendeva l'indennità NASpI;
✓ con lettera raccomandata del 2.12.2021 (doc. 9 fasc. ric.) l’I.N.P.S. gli comunicava
che la “domanda di indennità di disoccupazione NASpI... è stata respinta per i seguenti
motivi: “la S.V. si è rioccupata entro gli 8 giorni successivi alla data di fine rapporto lavorativo”;
✓ con lettera del 23.9.2022 (doc. 10 fasc. ric.) l’I.N.P.S. gli comunicava l’esistenza di un indebito ammontante a € 31.567,75 e corrispondente all’importo complessivamente erogato a titolo di indennità di disoccupazione NASpI in relazione al periodo dal 19.4. al 3.10.2021, asseritamente non spettante “per mancanza dei
requisiti di legge” –
propone domanda volta ad accertare la responsabilità contrattuale dell' I.N.P.S. per avergli fornito “informazioni inesatte ed incomplete e/o per non avergli fornito le informazioni dovute ex lege”, con conseguente domanda di condanna dell’Istituto al pagamento della somma di € 31.130,00, a titolo di risarcimento dei danni subiti e domanda diretta a dichiarare “compensata la richiesta di credito formulata da INPS pari alla somma di € 31.567,75 con il credito vantato a titolo risarcitorio dal ricorrente pari ad € 31.130,00 e di conseguenza ridurre il debito del signor xxx ad € 437,00”.
le ragioni della decisione
Costituendosi in giudizio, lealmente l’I.N.P.S. non ha contestato le circostanze di fatto allegate dal ricorrente nel suo atto introduttivo e illustrate (per quanto rileva ai fini della decisione) nel paragrafo precedente.
In particolare, ha dato per “vero che l’INPS ha accertato la decadenza della prestazione NASPI per effetto della rioccupazione durante il periodo di carenza solo a distanza di tempo rispetto alla originaria liquidazione, travolgendo, in tal modo, anche i periodi di NASPI successiva diversamente spettanti a fronte di nuova domanda” (così a pag. 3 della memoria di costituzione).
Già da queste deduzioni emerge nitidamente la peculiarità della presente vicenda, la quale non è riducibile soltanto a un’ipotesi di legittimo affidamento in capo al precettore circa la spettanza di una prestazione previdenziale non pensionistica erogata dall’ente pubblico gestore, ma non dovuta alla luce della relativa disciplina.
A)
Infatti, da un lato, ricorrono incontestatamente gli elementi costitutivi, come delineati dalla Corte EDU in tema di compatibilità dell’azione di ripetizione di indebiti previdenziali erogati da soggetti pubblici in relazione all’art. 1 Protocollo Addizionale n. 1 CEDU (“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”) di quell’affidamento legittimo che secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 8 del 2023) trova tutela nell’ordinamento italiano dentro la cornice generale della buona fede oggettiva (in proposito la Consulta ha statuito: “gli elementi che possono rilevare ex fide bona ai fini dell'individuazione di un affidamento legittimo riposto in una prestazione indebita erogata da un soggetto pubblico trovano, a ben vedere, riscontro in quelli di cui si avvale la Corte EDU per individuare una legitimate expectation”), vale a dire:
❖ l'erogazione di una prestazione a seguito di una domanda presentata dal beneficiario
che agisca in buona fede o su spontanea iniziativa delle autorità;
❖ la provenienza dell'attribuzione da parte di un ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all'esito di un procedimento, fondato su una disposizione di legge, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione sia percepita dal beneficiario come
fonte della prestazione, individuabile anche nel suo importo;
❖ la mancanza di una attribuzione manifestamente priva di titolo o basata su semplici
errori materiali;
❖ un'erogazione effettuata in relazione a una attività lavorativa ordinaria e non a una prestazione isolata o occasionale, per un periodo sufficientemente lungo da far nascere la ragionevole convinzione circa il carattere stabile e definitivo della medesima;
❖ la mancata previsione di una clausola di riserva di ripetizione.
L’ordinamento italiano prevede, relativamente a specifiche prestazioni, il rimedio dell’irripetibilità dell’indebito nelle seguenti ipotesi:
➢ art. 52 co. 2 L. 9.3.1989, n. 88 in ordine alle prestazioni previdenziali pensionistiche
erogate dall’I.N.P.S.;
➢ art. 55 co.5 stessa L. 88/1989 in ordine alle prestazioni assicurative erogate da
I.N.A.I.L.;
➢ art. 37 co.8 L. 23.12.1998, n. 448; art.3-ter D.L. 23.12.1976, n. 850 conv. nella L.
21.2.1977, n. 29; art. 3 co.10 D.L. 30.5.1998, n. 173 conv. nella L. 26.7.1988, n. 291, quale complesso normativo da cui la Corte costituzionale (ordinanza n. 264 del 2004) e la Suprema Corte (Cass. 30.6.2020, n. 13223; conf. Cass. 18.8.2022, n. 24617; Cass. 7.9.2021, n. 24133) hanno desunto la vigenza, nel settore delle prestazioni economiche di natura assistenziale, di un principio “in virtù del quale la regolamentazione della ripetizione dell'indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile”.
Al di fuori della sfera di applicazione di queste normative speciali vige la disciplina generale dell’indebito oggettivo di cui all'art. 2033 cod. civ., secondo la quale: “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”.
Vi è assoggettata l’erogazione dell’indennità di disoccupazione non dovuta in quanto si tratta di una prestazione previdenziale che, non avendo natura pensionistica, non rientra tra quelle per cui vige l’opposto principio dell’irrepetibilità ex art. 52 L. 88/1989 (hanno escluso l’irripetibilità in ragione della natura non pensionistica della prestazione previdenziale, in quanto avente, al pari dell’indennità di disoccupazione, connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale volta al sostegno economico di chi si trova in stato di bisogno, Cass. 16.8.2023, n. 24645, in relazione all’indennità di mobilità ex art. 7 co.12 L. 23.4.1991, n. 223; Cass. 19.4.2021, n. 10274 in ordine all’indennità afferente ai permessi retribuiti ex art. 33 L. 5.2.1992, n. 104; Cass. 2.12.2019, n. 31373, in ordine all’indennità di mobilità ex art. 4 co.7 D.L. 20.5.1993, n. 236 conv. in L. 19.7.1993, n. 236).
A difesa dell’affidamento legittimo nella spettanza di prestazione indebita l’ordinamento italiano prevede un’attenuazione della rigidità dell’obbligazione restitutoria (che, in quanto obbligazione pecuniaria, non vede operare - per consolidata opinione - la causa estintiva costituita dall'impossibilità della prestazione ex art. 1218 cod.civ.) in virtù della categoria dell’ inesigibilità, che trova fondamento nel precetto ex art. 1175 cod.civ. (“Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”), il quale vincola il creditore a esercitare la sua pretesa in maniera da tenere in debita considerazione, in rapporto alle circostanze concrete, la sfera di interessi che fa riferimento al debitore.
Da qui scaturisce il dovere, da parte del solvens creditore, di rateizzare la somma richiesta in restituzione, tenendo conto delle condizioni economico-patrimoniali in cui si trova l’accipiens debitore, che viene chiamato improvvisamente a dover restituire quanto riteneva di aver legittimamente percepito; in difetto di una rateizzazione, che tenga conto delle condizioni in cui concretamente si trova il debitore, la pretesa del creditore è inesigibile.
Inoltre, particolari situazioni personali del debitore, in presenza delle quali l’adempimento dell’obbligazione restitutoria determinerebbe un grave pregiudizio alle sue condizioni di vita, giustificano un’inesigibilità temporanea di quel credito, di talché il ritardo nell'adempimento non potrebbe legittimare una pretesa risarcitoria da parte del creditore.
Infine, quelle stesse situazioni personali, “laddove siano correlate a diritti inviolabili, possono far ritenere al giudice definitivamente giustificato anche un adempimento parziale, che solo in casi limite potrebbe approssimarsi alla totalità dell'importo” (così Corte cost. 8/2023).
Appare evidente come i rimedi avverso la lesione dell’affidamento legittimo nella spettanza di prestazione indebita fin qui ricordati non consentirebbero di accogliere la domanda, proposta dal ricorrente, di risarcimento danni ( a meno di non sussumere la vicenda in esame in uno di quei “casi limite” menzionati nell’ultima ipotesi, ma le circostanze emergenti dalle allegazioni delle parti appaiono insufficienti per poterne affermare la ricorrenza).
B)
Tuttavia, la clausola generale di correttezza e buona fede – il quale, come si è evidenziato sub A), “plasmando” (secondo l’espressione di Corte cost. n. 8 del 2023), in ragione del disposto ex art. 1175 cod.civ., l’attuazione del rapporto obbligatorio, condiziona l’esecuzione dell’obbligazione restitutoria ex art. 2033 cod.civ. – consente anche di configurare, tramite l’art. 1337 cod.civ., un legittimo affidamento quale “situazione soggettiva potenzialmente meritevole di protezione risarcitoria” (così ancora Corte cost. n. 8 del 2023).
Siffatta portata precettiva assume uno specifico rilievo nella controversia in esame in ragione della già preannunciata peculiarità che la caratterizza.
Di regola le ipotesi di legittimo affidamento circa la spettanza di una prestazione erogata indebitamente da un ente previdenziale riguardano casi in cui difettano i presupposti sostanziali (ossia gli elementi di fatto espressivi del bisogno) prescritti dal legislatore, pur in presenza di un titolo formato dall’ente erogatore in apparente (ma erronea) applicazione della relativa disciplina.
Ciò spiega il collegamento che viene posto tra la regola generale della ripetibilità dell’indebito oggettivo ex art. 2033 cod.civ. e le ragioni di finanza pubblica che giustificano le pretese restitutorie.
Tuttavia, a ben vedere, nella vicenda in esame non ricorre un’ipotesi di mancanza dei presupposti sostanziali prescritti ai fini dell’attribuzione, a decorrere dal 1° agosto 2019, dell’indennità NASpI (che parte ricorrente ha ricordato a pag. 2 del suo atto introduttivo: essere in stato di disoccupazione per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore; aver totalizzato almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio della disoccupazione; aver effettuato 30 giorni di effettivo lavoro nei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione).
Infatti, risulta incontestato, oltre che provato per tabulas (doc. 4 e 13 fasc. ric.) che, a partire da quella data, il percorso occupazionale del ricorrente ha conosciuto un susseguirsi di periodi di “non lavoro”, con percezione della NASpI, e di lavoro a termine, con sospensione NASpI, come allegato a pag. 4 del ricorso e confermato dall’I.N.P.S., laddove (pag. 3 della memoria di costituzione) ha affermato che il rigetto, con lettera del 2.12.2021, della domanda presentata in data 13.3.2019, ha “travolto i periodi di NASpI successivi” al periodo di occupazione iniziato durante il periodo di carenza, precisamente il 19.3.2019 e terminato il 31.7.2019.
Ciò che difetta ai fini dell’attribuzione al ricorrente dell’indennità NASpI afferente ai periodi disoccupazione successivi al 31.7.2019 è la mancata presentazione della relativa domanda in sede amministrativa.
È vero che, alla luce del disposto ex art. 6 co.2, secondo periodo d.lgs. 22/2015 (secondo cui, qualora la domanda sia presentata oltre l’ottavo giorno successivo a quello di cessazione del rapporto di lavoro, “la NASpI spetta... dal primo giorno successivo alla data di presentazione della domanda”), la presentazione della domanda amministrativa rappresenta un elemento costitutivo, seppur di natura formale, del diritto all'attribuzione dell'indennità NASpI.
Tuttavia, non si può non interrogarsi in ordine alle ragioni per cui il ricorrente ha omesso di presentare la domanda di attribuzione dell'indennità NASpI afferente ai periodi di disoccupazione successivi al 31.7.2019.
In proposito occorre considerare che il ricorrente aveva già presentato in data 13.3.2019 una domanda di attribuzione dell'indennità NASpI
(doc. 1 fasc. ric.).
Sennonché egli ancora durante il periodo di carenza (che nel suo caso sarebbe terminato il 19.4.2019, ossia dopo 38 giorni a decorrere dall’efficacia del licenziamento, secondo la previsione ex art. 6 co.2 d.lgs. 4.3.2015, n. 22 e i chiarimenti contenuto al punto 2.6., lett. f) e al punto 2.7. n. 4 della circolare I.N.P.S. n. 94 del 12.5.2015), precisamente in data 19.3.2019, trovava un’occupazione a tempo determinato.
In proposito nella circolare n. 94/2015 (punto 2.7) l’I.N.P.S. si limita a prevedere che “l’eventuale rioccupazione durante i primi otto giorni [che nella vicenda in esame erano 38] che seguono la cessazione del rapporto di lavoro - in quanto non si è concretamente verificato l’inizio della erogazione della prestazione - non dà luogo all’applicabilità del regime della sospensione della prestazione” (evidentemente quella prevista dall’art. 9 co.1 d.lgs. 22/2015).
Solo dalla decisione, adottata dall’I.N.P.S. oltre due anni dopo e comunicata al ricorrente con lettera del 2.12.2021 (doc. 9 fasc. ric.), di respingere la domanda amministrativa presentata dal ricorrente in data 13.3.2019, emerge con chiarezza che secondo l’I.N.P.S. all’inizio di un nuovo rapporto di lavoro durante il periodo di carenza consegue il rigetto della domanda di attribuzione dell’indennità NASpI in precedenza presentata.
Tuttavia, non vi è soltanto il tenore equivoco sul punto della circolare n. 94/2015.
Infatti, l’I.N.P.S., successivamente all’inizio, in data 19.3.2019, da parte del ricorrente, di un nuovo rapporto di lavoro durante il periodo di carenza, si è determinata in senso diametralmente opposto al rigetto della domanda di attribuzione della NASpI presentata dal ricorrente in data 13.3.2019, disponendone, invece, l’accoglimento in data 2.5.2019 come attestato dal doc. 7 fasc. ric..
Ma vi è di più:
contrariamente a quanto previsto nella circolare n. 94/2015, l’I.N.P.S., ha applicato reiteratamente l’istituto della sospensione ex art. 9 d.lgs. 22/2015 dell’erogazione dell’indennità NASpI non solo in riferimento al periodo di occupazione iniziato nel periodo di carenza (che il ricorrente si era curato di comunicare in data 25.3.2019 e 8.4.2019, come risulta dai doc. 5 fasc. ric.), ma anche dopo la cessazione di quel periodo di occupazione in data 31.7.2019. Infatti, l’I.N.P.S. per oltre due anni, precisamente fino al 3.10.2021, ha, come già più volte evidenziato, proceduto all’erogazione o alla sospensione dell’indennità NASpI a seconda dello stato di disoccupazione o, rispettivamente, di occupazione in cui si trovava il ricorrente.
E’ del tutto evidente che attraverso queste condotte reiterate l’I.N.P.S. ha ingenerato nel ricorrente l’affidamento – non tanto in ordine all’apparente sussistenza dei presupposti sostanziali richiesti ai fini dell’attribuzione dell’indennità NASpI, atteso che quei
presupposti sostanziali esistevano effettivamente, come emerge in modo incontestato dalle allegazioni di entrambe le parti – ma nel fatto che la domanda presentata dal ricorrente in data 13.3.2019, nonostante l’inizio di una nuovo rapporto di lavoro durante il periodo di carenza, conservava la sua utilità ai fini dell’attribuzione dell’indennità NASpI in riferimento ai periodi di disoccupazione successivi alla cessazione di quel rapporto di lavoro, avvenuta in data 31.7.2019.
E’ pure evidente che – se l’I.N.P.S. si fosse determinato diversamente, vale a dire se in data 2.5.2019 avesse rigettato (e non già accolto, come ha fatto) la domanda presentata dal ricorrente in data 13.3.2019 o in seguito avesse omesso di erogare al ricorrente l’indennità NASpI in relazione ai periodi di disoccupazione successivi al 31.7.2019 – il ricorrente si sarebbe reso agevolmente conto che l’I.N.P.S. non considerava più idonea ai fini dell’erogazione dell’indennità NASpI la domanda presentata in data 13.3.2019 e avrebbe presentato all’I.N.P.S. una nuova domanda; si tratta di un’ipotesi che in realtà è una certezza, atteso che all’epoca persistevano tutti i presupposti sostanziali prescritti per l’attribuzione della provvidenza in questione (significativamente l’I.N.P.S., a pag. 3 della memoria di costituzione, afferma, con lealtà, che i “periodi di NASpI successiva” erano “diversamente spettanti a fronte di una nuova domanda”).
Appare indubbio che sarebbe in contrasto con la clausola generale di correttezza e buona fede consentire all’I.N.P.S. di avvantaggiarsi di una condotta omissiva del ricorrente (la mancata presentazione di una domanda di attribuzione della NASpI in riferimento all’epoca successiva al 31.7.2019), che, con propri comportamenti più volte reiterati, ha indotto il ricorrente a tenere (ingenerando oggettivamente in lui la convinzione che a tal fine conservava la sua idoneità originaria la domanda presentata il 13.3.2019).
Ciò è tanto più vero se si considera che il vantaggio, che l’I.N.P.S. così conseguirebbe, sarebbe costituito – non già dall’evitare un pregiudizio consistente nell’erogazione non dovuta per mancanza dei necessari presupposti sostanziali prescritti per l’attribuzione dell’indennità NASpI – ma dal risparmio per una ragione di ordine formale (seppur avente valore costitutivo), di una spesa che la sussistenza in capo al ricorrente dei prescritti requisiti sostanziali.
Inoltre il rigetto, comunicato dall’I.N.P.S. al ricorrente in data 21.2.2021, della domanda di attribuzione dell’indennità NASpI presentata il 13.3.2019 a causa dell’inizio di un nuovo rapporto di lavoro durante il periodo di carenza, dopo che per due anni l’Istituto aveva considerato questa circostanza irrilevante ai fini dell’erogazione dell’indennità NASpI, viola palesemente il principio “nemo potest venire contra factum proprium”, il quale viene anch’esso ricondotto all’obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede ex artt. 1175, 1337 e 1375 cod.civ. e impone ai soggetti di diritto di comportarsi con coerenza, precludendo loro di
invocare tutela giuridica quando essa si ponga in contrasto
con una volontà precedentemente manifestata da colui che la invoca attraverso un comportamento successivo che ne costituisca la negazione (ex multis, Cass. 5.2.2024, n.
3297; Cass. 23.6.2023, n. 18070; Cass. 15.6.2020, n. 11603.
Mediante le condotte appena illustrate l’I.N.P.S. ha violato il legittimo affidamento del ricorrente in ordine alla spettanza dell’indennità NASpI relativamente ai periodi di
disoccupazione successivi al 31.7.2019, ma non solo.
Infatti, ingenerando con i propri comportamenti nel ricorrente la convinzione circa la
superfluità di una domanda amministrativa ulteriore a quella già presentata il 13.3.2019, lo ha indotto a non presentarne una nuova, precludendogli, essendo, come si è già visto, la presentazione della domanda un elemento costitutivo del diritto (art. 6 co.2, secondo periodo d.lgs. 22/2015), la possibilità di conseguire (chance) l’indennità NASpI
relativamente ai periodi di disoccupazione successivi al 31.7.2019.
Si configura così nella vicenda in esame in capo all’I.N.P.S. una responsabilità risarcitoria non solo per la lesione del legittimo affidamento in ordine alla spettanza di quella indennità, ma, sussistendo tutti i presupposti sostanziali prescritti per l’esistenza del diritto, anche per la perdita della chance di conseguire l’indennità medesima, una chance in verità pressoché coincidente con la certezza, atteso che il ricorrente, se non fosse stato indotto diversamente dalle condotte dell’I.N.P.S., avrebbe, una volta terminato, in data 31.7.2019, il periodo di lavoro iniziato durante il periodo di carenza, sicuramente presentato la necessaria domanda proprio perché in possesso di tutti i
necessari requisiti sostanziali.
Parte ricorrente richiama un precedente della Corte territoriale (Corte Appello Trento n. 37/2019 del 15.4.2019 (doc. 12 fasc. ric.), che risulta particolarmente conferente alla controversia in esame, riguardando una vicenda in cui l’I.N.P.S. in un primo tempo aveva indotto (in quel caso mediante un’indicazione data allo sportello) il lavoratore assicurato a considerare non necessaria la presentazione di una nuova domanda amministrativa dopo un periodo di nuova occupazione (anche in quel caso si trattava di un’indennità di disoccupazione, l’ ASpI), aveva erogato per un lungo periodo la prestazione essendo il lavoratore in possesso di tutti i requisiti prescritti (similmente a quanto accaduto al ricorrente, la Corte ha evidenziato che “nessuna locupletazione non consentita dalla legge” aveva ottenuto il lavoratore, il quale non aveva “seguito le procedure formali richieste per ottenere l'indennità a cui aveva diritto virgola in quanto fuorviato
dall'I.N.P.S.”) e a distanza di anni aveva eccepito la mancanza della domanda e chiesto al lavoratore la restituzione delle indennità corrisposte. La Corte ha ritenuto che l’I.N.P.S. dovesse rispondere del “danno causato per il mancato inserimento nei sistemi informatici dei dati corretti e per le informazioni inesatte fornite all'assistito” e ha condannato l’Istituto a pagare, a titolo risarcitorio, in favore del lavoratore, una somma
pari all’importo delle prestazioni oggetto della pretesa restitutoria.
In definitiva deve essere dichiarato l’obbligo dell’I.N.P.S. di pagare, in favore del ricorrente xxx, a titolo risarcitorio, una somma corrispondente al complessivo importo che avrebbe percepito, a titolo di indennità di disoccupazione NASpI, se avesse presentato la relativa domanda amministrativa non appena terminato indata 31.7.2019, il periodo di lavoro iniziato durante il periodo di carenza.
Trattandosi di una somma agevolmente determinabile, non è necessario disporre c.t.u. per
la sua liquidazione.
Come richiesto dal ricorrente, questo suo credito risarcitorio dovrà essere posto in compensazione (totale o parziale a seconda dell’ammontare del primo) con il credito di cui alla pretesa restitutoria avanzata dall’I.N.P.S. con le comunicazioni del 2.12.2021
(doc. 9 fasc. ric.) e del 23.9.2022 (doc. 10 fasc. ric.).
In ragione della complessità della vicenda e in considerazione che la sua genesi è imputabile anche a condotte del ricorrente, appare equo disporre la compensazione delle
spese nella misura di un terzo.
L’I.N.P.S. va condannato alla rifusione, in favore del ricorrente, dei residui due terzi,
come liquidati in dispositivo.
P.Q.M.
Il tribunale ordinario di Trento - sezione per le controversie di lavoro, in funzione di giudice unico, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione rigettata, così decide:
1. Dichiara
l’obbligo dell’I.N.P.S. di pagare, in favore del ricorrente xxx, a titolo risarcitorio, una somma corrispondente al complessivo importo che il ricorrente avrebbe percepito, a titolo di indennità di disoccupazione NASpI, se avesse presentato la relativa domanda amministrativa non appena terminato, in data 31.7.2019, il periodo di lavoro iniziato durante il periodo di carenza.
Condanna l’I.N.P.S. alla rifusione, in favore del ricorrente xxx,
delle spese di giudizio, liquidate nella somma di € 3.000,00, maggiorata del 15% per
spese forfettarie ex art. 2 co.2 d.m. 10.3.2014, n. 55, oltre ad IVA e CNPA. Trento, 12 novembre 2024
Dispone la compensazione (totale o parziale) tra il credito risarcitorio del ricorrente indicato sub 1. con il credito di cui alla pretesa restitutoria avanzata dall’I.N.P.S. con le comunicazioni del 2.12.2021 e del 23.9.2022.
Dispone la compensazione delle spese nella misura di un terzo.