Illegittimo il licenziamento del dipendente per mancato superamento del periodo di prova, dopo lo spirare dei tre mesi previsti dal R.D.L. n. 1825 del 1924 , art. 4

Cass. civ., Sez. VI - Lavoro Ordinanza 11/10/2021 n. 27535
Sentenza in sintesi:
La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d'Appello di Trento che accoglieva la domanda del lavoratore di accertamento della nullità del patto di prova (inserito nel contratto di lavoro a tempo determinato stipulato con l’ente convenuto) “in ragione della violazione, quanto alla durata, del r.d.l. n. 1825 del 1924, art. 4”, con conseguente declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato in data 25 agosto 2017 per mancanza di giustificazione ex art. 2119 del codice civile” e con conseguente condanna dell'ente convenuto al “risarcimento dei danni subiti per effetto del licenziamento illegittimo commisurati alle retribuzioni non percepite fino alla data di scadenza naturale del contratto, oltre agli interessi e rivalutazione monetaria”
testo della sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana - Presidente -

Dott. PATTI Adriano Pietrogiovanni - Consigliere -

Dott. CINQUE Guglielmo - rel. Consigliere -

Dott. BOGHETICH Elena - Consigliere -

Dott. PICCONE Valeria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6270-2020 proposto da:

F., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall'avvocato FILIPPO VALCANOVER;

- ricorrente -

contro

L.A., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall'avvocato GIOVANNI GUARINI;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 97/2019 della CORTE D'APPELLO di TRENTO, depositata il 28/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Svolgimento del processo

che:

1. La Corte di appello di Trento, con la sentenza n. 97/2019, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede n. 222/18, ha condannato F. B.K. al risarcimento del danno, in favore di L.A. liquidato nelle retribuzioni che sarebbero maturate dall'(OMISSIS) alla data di scadenza del contratto a termine ((OMISSIS)), di cui era stata dichiarata la nullità del patto di prova apposto, detratto quanto percepito nelle tre settimane di occupazione dal (OMISSIS) e in ragione del contratto a termine stipulato per la collaborazione presso la Commissione Europea dal (OMISSIS) al (OMISSIS).

2. I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, hanno rilevato, per quello che interessa in questa sede, che: a) il R.D.L. n. 1825 del 1924 , art. 4 , conv. nella L. n. 562 del 1926 , da ritenersi ancora vigente anche a seguito dei provvedimenti di semplificazione legislativa del 2009, non poteva considerarsi nè implicitamente abrogato nè superato dalla L. n. 604 del 1966 , artt. 10  e 12 , nè, infine, poteva reputarsi derogabile dalla contrattazione collettiva; b) le posizioni professionali previste dalla suddetta disposizione dovevano ritenersi ancora attuali; c) l'eccezione sull'aliunde perceptum risultava provata dalle dichiarazioni rese nell'interrogatorio libero da L.A.; d) l'eccezione sull'aliunde percipiendum era, invece, generica e basata su affermazioni apodittiche.

3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione FBK  affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso L.A..

4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, ai sensi dell'art. 380 bis  c.p.c..

5. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2 Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360  c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2096  c.c., e art. 98  disp. att. c.c., nonchè della L. n. 604 del 1966 , artt. 10  e 12 , per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto non condivisibili le argomentazioni in merito al superamento del R.D.L. n. 1825 del 1924 , ad opera del codice civile e della L. n. 604 del 1966 .

3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell'art. 360  c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1825 del 1924 , art. 4 , per avere erroneamente ritenuto i giudici del merito inderogabile la suddetta disposizione, avente natura imperativa, mentre essa, invece, poteva essere derogata dalla contrattazione collettiva.

4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell'art. 360  c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione della L.P. n. 14 del 2005 , e del CCPL delle Fondazioni (all. A al ricorso) di cui alla L.P. n. 14 del 2005  perchè la Corte territoriale non aveva considerato che il CCLP, che derogava in sostanza al citato art. 4, trovava il suo fondamento nella legge della Provincia autonoma di Trento che riconosceva appunto alla Provincia la possibilità di concorrere con le fondazioni e le organizzazioni sindacali rappresentative alla stipula di una intesa riguardante l'individuazione dei contratti collettivi applicabili al personale ricercatore ivi impiegato.

5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360  c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'art. 1223  c.c., per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito generica l'eccezione sull'aliunde percipiendum quando, invece, essa era fondata su circostanze oggettive da cui desumere che il lavoratore avrebbe potuto trovare una occupazione alternativa.

6. I primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono infondati.

7. La Corte territoriale correttamente si è adeguata, richiamandoli espressamente, ai condivisibili principi statuiti in sede di legittimità (Cass. n. 21874 del 2015 , Cass. n. 1017 del 1985), cui si intende dare seguito, secondo i quali il R.D.L. n. 1825 del 1924 , art. 4 , convertito dalla L. n. 562 del 1926 , la cui disciplina sui più ampi limiti temporali del patto di prova per i dirigenti nell'impiego privato si estende solo agli impiegati con equivalenti mansioni decisionali, non è derogabile dalla contrattazione collettiva in quanto norma imperativa, e non può ritenersi abrogato nè dalle sopravvenute norme del codice civile, nè dalla L. n. 604 del 1966 , art. 10 , che - nel definire il suo ambito applicativo quale riferito a tutti i prestatori di lavoro ovvero, per quelli assunti in prova, dal momento in cui l'assunzione divenga definitiva e in ogni caso decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro - non ha inteso dettare una nuova disciplina del contratto di assunzione in prova o fissare un nuovo termine alla sua durata, tale da rendere inoperante il previgente regime.

8. E', invece, inammissibile la doglianza relativa ai rapporti di gerarchia tra la norma di cui al R.D.L. n. 1825 del 1924 , art. 4 , e la L.P. 2 agosto 2005 , perchè trattasi di questione nuova, non affrontata dalla sentenza di seconde cure in relazione ai motivi di appello come in essa riportati e con riguardo alla quale non è stato precisato il dove, il come ed il quando la problematica sia stata specificamente sottoposta ai giudici del merito: invero, la questione esaminata dalla Corte territoriale è stata solo quella relativa al rapporto di superamento e/o abrogazione tra il citato R.D.L., art. 4 , e la L. n. 604 del 1966 , art. 10.

9. Analogamente è da considerarsi questione nuova e, in quanto tale inammissibile in cassazione, quella riguardante la problematica se fosse più favorevole la disciplina di cui al R.D.L. n. 1825 del 1924  o quella di cui al CCPL, che non risulta essere stata posta come specifico motivo di gravame in seconde cure e non è stata esaminata dalla Corte territoriale.

10. Da ultimo, va evidenziato che il Collegio non ritiene che vi siano i presupposti per rimettere la trattazione della causa in pubblica udienza, non ravvisandosi un contrasto effettivo tra le pronunce di questa Corte n. 22758 del 2014 e n. 21874 del 2015.

11. La prima, infatti, non contiene alcuna statuizione -in ordine alla derogabilità del R.D.L. n. 1825 del 1924 , art. 4 , da parte della contrattazione collettiva-caratterizzata dalla sequenza "fatto-norma-effetto" idonea a costituire un giudicato e a rappresentare un principio giurisprudenziale, essendo stata l'argomentazione prospettata effettivamente solo come un "obiter dictum"; ma soprattutto deve sottolinearsi che l'affermazione suddetta riguarda il personale direttivo per il quale il periodo di prova di sei mesi coincide con quello di cui alla L. n. 604 del 1966 , art. 10 , e non è pertinente alla fattispecie in esame.

12. Ne consegue che l'unico reale precedente in materia, per il personale non direttivo, rilevante nella soluzione del presente giudizio, è quello costituito dalla pronuncia del 2015, cui in questa sede, per il condivisibile ed autorevole ragionamento giuridico svolto, si intende dare continuità.

13. Il quarto motivo è, infine, inammissibile.

14. In tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che affermi la detraibilità dall'indennità risarcitoria prevista dal nuovo testo dello St. lav. , art. 18 , comma 4, a titolo di "aliunde percipiendum", di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi alla ricerca di una nuova occupazione, ha l'onere di allegare le circostanze specifiche riguardanti la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del danneggiato, da cui desumere, anche con ragionamento presuntivo, l'utilizzabilità di tale professionalità per il conseguimento di nuovi guadagni e la riduzione del danno (Cass. n. 17683 del 2018).

15. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha specificato che la eccezione formulata dalla società era del tutto generica e fondata su affermazioni apodittiche, senza riscontro di circostanze di fatto apprezzabili.

16. Orbene, va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, l'erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell'art. 360  c.p.c., comma 1, n. 3), perchè non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360  c.p.c., comma 1, n. 5) (Cass. n. 31546 del 2019): e sotto questo profilo la gravata pronuncia non è censurabile avendo esaminato il tenore della eccezione e avendo fornito adeguata motivazione sul rigetto di essa.

17. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.

18. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.

19. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 , art. 13 , comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228 , deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del difensore del controricorrente dichiaratosi antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 , art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

Scarica Sentenza