Il Giudice del lavoro può porre a fondamento della propria decisione la deposizione di testi che hanno contenziosi pendenti

Corte d'Appello di Brescia Sezione Lavoro Sentenza 26/04/2023 n 107 Relatore Dott.ssa Silvia Mossi
Sentenza in sintesi:
Il Giudice del lavoro può porre a fondamento della propria decisione la deposizione di testi che hanno contenziosi pendenti con una delle parti in causa non per questo sono incapaci a deporre, salvo il Giudice non li ritenga inattendibili tenendo conto delle circostanze del caso concreto e non in via astratta
testo della sentenza:

Sentenza n. 107/2023 pubbl. il 26/04/2023

RG n. 23/2023

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

I N N O M E D E L P O P O L O I T A L I A N O

La Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro, composta dai Sigg.:

Dott. Antonio MATANO  Presidente Dott. Giuseppina FINAZZI Consigliere Dott. Silvia MOSSI Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile promossa in grado d’appello con ricorso depositato in Cancelleria il giorno 27 gennaio 2023, iscritta al n. 23/2023 R.G. Sezione Lavoro e posta in discussione all’udienza collegiale del 30/03/23

d a

rappresentato e difeso dall’ Avv. Giovanni Guarini, del foro di Rovereto, domiciliatario giusta delega in atti

RICORRENTE APPELLANTE

c o n t r o

L in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giuseppe Bracuti e Ugo Bracuti, del foro di Brescia, domiciliatari giusta delega in atti

RESISTENTE APPELLATA

In punto appello a sentenza n. 772 del 2022 del Tribunale di Brescia.

Conclusioni:

OGGETTO: categoria e qualifica.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 772/2022, pubblicata il 27 dicembre 2022, il Tribunale di Brescia, Sezione Lavoro, ha respinto il ricorso proposto da nei confronti della società

volto al riconoscimento delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori ascrivibili al 5 livello CCNL Turismo Aziende Alberghiere e per ore di lavoro straordinario con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Il ricorrente aveva dedotto di avere lavorato per tre stagioni presso l’Hotel negli  anni 2014, 2015 e 2016 in forza di diversi contratti a tempo pieno e determinato prestando attività lavorativa tutti i giorni dalle 10.00 alle 15.00 e dalle 17.30 alle 22.30 con 30 minuti di pausa per turno usufruendo di un solo giorno di riposo negli anni 2014, 2015 e di 6 giorni nel 2016 e ha quindi domandato il riconoscimento del compenso per lavoro straordinario oltre al risarcimento del danno del risarcimento del danno da usura psico-fisica derivante dalla mancata fruizione dei riposi previsti dal D.Lgs. n. 66/2003 e dal CCNL di riferimento; aveva anche allegato che, benchè formalmente inquadrato quale addetto di sala al livello 6 Super del CCNL Turismo Aziende Alberghiere, in realtà aveva svolto negli anni 2015 e 2016 mansioni corrispondenti al superiore livello 5 di “chef de rang” in aggiunta a quelle di “commis” rientranti nel livello contrattuale 6 Super, ed anche per questa ragione aveva chiesto il riconoscimento di differenze retributive.

Il Tribunale, per quanto all’asserita assegnazione di mansioni superiori, ha affermato che il ricorso era carente in punto di allegazioni degli elementi necessari per l’accoglimento della domanda rilevando anche che, in ogni caso, il ricorrente non aveva fornito la prova dello svolgimento delle mansioni superiori con carattere di prevalenza rispetto alle ulteriori pacificamente rientranti nel livello contrattualmente stabilito.

Quanto, invece, alla rivendicazione del compenso da lavoro straordinario, riteneva i testimoni di parte ricorrente inattendibili in quanto tutti con contenziosi pendenti nei confronti della stessa società aventi ad oggetto analoghe pretese e attribuiva rilievo alla deposizione di un ex dipendente dell’albergo, che aveva riferito che nel caso di prolungamento dell’orario di lavoro serale, il commis si metteva d’accordo con lo chef per iniziare più tardi il lavoro il giorno successivo senza maturazione, quindi, di ore di lavoro straordinario.

Ne conseguiva il rigetto di tutte le domande del ricorrente. Contro  la  sentenza,  il ha proposto appello, censurando in toto la decisione di cui ha chiesto la riforma.

La società si è costituita tempestivamente in giudizio resistendo all’appello.

All’odierna udienza, la causa è stata discussa e all’esito della camera di consiglio è stata data lettura del dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Come primo motivo l’appellante censura la decisione per avere rigettato la domanda di riconoscimento delle differenze retributive per carenza di prova nonostante il ricorrente avesse chiesto la prosecuzione dell’istruttoria orale.

Con il secondo motivo l’appellante lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. da parte del giudice di prime cure per avere ritenuto inattendibili le deposizioni dei testi introdotti dal ricorrente per il solo motivo dell’avere gli stessi analoghe controversie pendenti nei confronti della medesima convenuta e critica, altresì, l’interpretazione dell’esito dell’istruttoria orale sia in punto di accertamento dello straordinario che di svolgimento di mansioni superiori.

Il Collegio ritiene opportuno esaminare con priorità il secondo motivo del gravame avente ad oggetto l’interpretazione delle risultanze processuali effettuato nella sentenza siccome avente carattere assorbente rispetto al primo, per quanto di seguito illustrato.

Il  percorso  lavorativo  del è documentato e pacifico.

Come accennato in premessa, il ricorrente ha lavorato dal 24.03.2014   al   31.10.2014,   dal   18.04.2015   al   31.10.2015   e dal 1.05.2016 al 30.10.2016 in forza di tre contratti a termine per la stagione estiva con assegnazione di mansioni di addetto alla sala e con inquadramento nel livello 6S del CCNL Turismo Aziende Alberghiere applicato. L’orario di lavoro contrattuale era di 40 ore settimanali.

Iniziando con l’esaminare il contenuto delle dichiarazioni rese dai testi in primo grado circa l’articolazione dell’orario di lavoro osservata dal vi è da dire che, pur con precisazioni diverse, i testimoni ed ex colleghi di lavoro hanno individuato due fasce orarie in cui hanno collocato in maniera sostanzialmente concorde l’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa del ricorrente, comprese tra le ore 10.00 e le 15.00 e tra le ore 18.30 e le 22.00.

I turni lavorativi indicati erano due nel corso della giornata ed erano organizzati in funzione dell’attività di ristorazione dell’hotel cui era addetto il ricorrente.

Risulta significativa e chiara in tal senso la dichiarazione del teste  di parte ricorrente ex dipendente, che ha riferito con riguardo al : “lui iniziava alle 10.00 del mattino, lo so perché noi dormivamo nella stessa stanza. I primi due anni facevo la terrazza sopra e so dire con certezza che iniziava alle 10.00 perché scendevamo insieme; lavorava fino alle 3 del pomeriggio; facevamo pranzo dalle 11.00 alle 11.30, mezz’ora, era l’orario in cui mangiavamo tutti. Dopo c’era la pausa e ricominciava dopo le 6 e mezzo, mangiava e dalle 18.30 alle 10,10 e mezzo, fino alle 11 di sera lavorava. Adr. Standard erano le 10…” precisando anche che “dalle 6 alle 6.30 mangiava, non era in servizio, iniziava il servizio alle 18.30.”

Ha fornito una versione sostanzialmente coincidente il teste D che lavorava solo nel turno serale, là dove ha dichiarato: “la sera dalle 18 si mangiava, poi si lavorava dalle 18.30 alle  22.00; certo che se c’era lavoro si fermavano un po' di più, se il lavoro era scarso allora si decideva anche che magari due commis andassero via prima e due restassero. Di norma le 22.”; ha poi precisato : “la cucina chiudeva alle 21.30, la pizzeria alle 22.00; dopo le 22 rimaneva poca gente..A parte me. I camerieri staccavano alle 22/22.15 ci poteva essere la serata della musica e quindi si poteva prolungare di mezz’ora ma in generale ero io che sbarazzavo  i tavoli che rimanevano”.

Il teste P , ex collega del ricorrente dal 2013 al 2017, a sua volta, ha riferito che il faceva un orario spezzato, che “arrivava per le 10 fino alle 15/15.30 in base al flusso di gente e poi ritornava verso le 17.30 e si chiudeva grosso modo alle 22.30” e ha precisato anche che venivano svolte due pause, una la mattina tra le 11/11.30 in cui i camerieri pranzavano, e una la sera tra le 17.30 e le 18.30 sempre in base al flusso di gente.

L’orario articolato su due principali turni di lavoro con due pause pranzo di mezz’ora ciascuna è stato confermato, seppure con un prolungamento dell’orario serale che, non trovando riscontro nelle deposizioni dei restanti testi non può essere considerato provato, da  A identificato dai testimoni come il “direttore” (v. deposizione teste M  , il quale ha dichiarato che il ricorrente :   “veniva la mattina verso le 10.00 fino alle 15.30 il pomeriggio; iniziava alle 17.30 fino alle 23,23/30. Faceva mezz’ora e mezz’ora di pausa sia a pranzo che a cena.”.

Il giudice, invero, ha ritenuto inattendibili detti testimoni in ragione del fatto dagli stessi hanno affermato (circostanza pacifica e documentata) di avere dei contenziosi con la medesima società aventi ad oggetto analoghe rivendicazioni retributive, ritenendo che detta circostanza sia dirimente nella valutazione della loro attendibilità sia per la naturale esistenza di motivi di astio nei confronti della resistente quale controparte processuale nei rispettivi procedimenti che per l’interesse degli stessi a rendere deposizioni perlomeno compatibili con quanto sostenuto in altri giudizi.

Ha quindi accordato preferenza nell’accertamento dei fatti alla deposizione del teste introdotto dalla parte resistente

M , ex dipendente (sebbene la circostanza sia stata in parte smentita dalla difesa appellante con la produzione di nuova documentazione) privo di pendenze con la società appellata, ritenuto perciò neutrale, il quale ha riferito che, se c’erano dei clienti che si attardavano, lo chef e il commis si mettevano d’accordo e “recuperavano, nel senso che se finivano più tardi il giorno dopo iniziavano più tardi…”; accordando preferenza a tale deposizione, dunque, il giudice ha ritenuto non vi fosse la prova dello svolgimento di lavoro straordinario.

In verità la Suprema Corte, con riferimento alla valutazione dell’attendibilità dei testi che hanno instaurato una causa con identico petitum e causa petendi contro una delle parti del procedimento ancora pendente all’epoca della loro deposizione, ha affermato il principio consolidato in base al quale “il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova, con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento” (ex plurimis Cass. n. 17097 del 2010 e giurisprudenza ivi citata: Cass. nn. 13910/2001; 11933/2003; 1554/2004; 12362/2006; 27464/2006).

Dunque, se è pacifico, sempre per giurisprudenza consolidata, che i testi che hanno contenziosi pendenti con una delle parti in causa non per questo sono incapaci a deporre ex art. 246 c.p..c. (v. tra le altre: Cass. n. 11034 del 2006; Cass. n. 9650 del 2003; Cass. n. 2618 del 1999; Cass. n. 32 del 1994; Cass. n. 6932 del 1987), ma solo eventualmente inattendibili, è anche vero che la valutazione sull’attendibilità dei testi dev’essere effettuata tenendo conto delle circostanze del caso concreto e non in via astratta e per il solo fatto dell’esistenza di analoghe pendenze.

Nel caso specifico, gli ex colleghi di lavoro del M , D P , e A hanno riferito in maniera pressochè concorde che l’orario normale di lavoro era compreso tra le 10 e le 15.00 e tra le 18.30 e le 22.00, salvo, come detto, il teste C che ha riferito di una protrazione dell’orario serale che non ha trovato riscontro nelle altre dichiarazioni; sempre dal quadro probatorio è emerso che verso le 11.00 i camerieri fruivano di una pausa pranzo di mezz’ora così che, sulla scorta delle dichiarazioni sostanzialmente univoche dei testi citati, l’orario abituale di lavoro del ricorrente risulta pari a un totale di otto ore lavorative al giorno (4,5 h al primo turno e 3,5 h al secondo turno).

Considerata la sostanziale convergenza del racconto dei testimoni nell’individuazione delle fasce orarie di svolgimento dell’attività lavorativa del non vi è ragione di ritenere inutilizzabili le dichiarazioni fornite dai medesimi in ragione del solo fatto che anch’essi hanno agito verso la datrice di lavoro al fine di avanzare proprie rivendicazioni salariali.

Oltretutto, l’attendibilità di tali deposizioni non è incrinata, diversamente da ciò che si assume in sentenza, dalla dichiarazione del teste M , unico come detto reputato attendibile dal Tribunale.

Il M      infatti, che faceva il cuoco presso l’Hotel Azzurro, ha in realtà confermato quanto detto dagli altri testi ossia che il personale mangiava alle 11.00 e ha aggiunto che la cucina chiudeva alle 14.30 e che in quel momento egli se ne andava; per tale ragione il Manno non ha saputo dire a che ora terminassero di lavorare i camerieri nel primo turno. Ugualmente alla sera, dopo avere confermato, in linea con gli altri testi, che il personale cenava dalle 18 alle 18.30, ha riferito che il ristorante chiudeva alle 21.30 e poi alle 22.30 arrivava il guardiano notturno e quando arrivava il guardiano notturno “era tutto  chiuso”.  Non  vi è quindi  una incompatibilità  tra quanto emerso dal racconto dei testi introdotti dalla difesa ricorrente e la  versione  dei  fatti  resa  dal teste M che, giova, ripetere, in quanto cuoco, lavorava in cucina ed era legato agli orari di apertura e chiusura della cucina (21.30 a detta del teste), diversamente dai camerieri che, con i clienti ancora in sala, dovevano ragionevolmente continuassero a prestare servizio.

Per il resto, l’affermazione del teste M circa l’eventuale protrazione dell’orario di lavoro dei camerieri alla sera e il recupero concordato con lo chef il giorno successivo, appare frutto più di una deduzione personale che di una conoscenza diretta dei fatti da parte del teste che, come detto, in quanto cuoco verosimilmente si allontanava dall’albergo prima dei camerieri alla chiusura della  cucina alle 21.30 (v. dichiarazione teste : “non so bene a che ora dovessero andare via ma so che se qualcuno restava più tardi, si metteva d’accordo per arrivare più tardi il giorno dopo”). In ogni caso, la circostanza dell’eventuale ed occasionale recupero del maggior orario serale il giorno  successivo  riferita  dal  teste  M risulta priva di rilevanza in quanto, anche ove si fosse verificata, non inciderebbe comunque sull’orario di lavoro abituale svolto dal come concordemente riferito dai testimoni, pari a otto ore giornaliere complessive.

Ciò appurato, sempre dall’istruttoria orale svolta in primo grado   è   risultato  che  il lavorava oltre l’orario contrattuale di 40 ore. Si vedano sul punto, ad esempio, la dichiarazione del teste A là dove ha detto: “a me sembra che lavorasse  tutti  i  giorni..sì  lavorava  7  giorni  su  7”;  e  del  teste  P : “D lavorava tutti i giorni…” e, ancora, del teste Z       : “ lavorava tutti i giorni”.

Dall’istruttoria orale, peraltro, è risultato che il ricorrente osservava anche dei giorni di riposo, sebbene non vi sia certezza circa il numero e la frequenza dei riposi goduti in ragione della diversità delle versioni fornite dai testi (v. teste C   : “a me sembra…che   abbia fatto pochissimi riposi, tipo 3,4,o 5 in una stagione”; v. teste   P : “forse si potrebbero contare sulle dita i giorni di riposo ma al massimo sarà arrivato a 3 giorni di riposo” e teste Z       : “so che  è andato in Puglia 4 o 5 giorni mi pare l’ultima stagione”).

Così stando le cose, ritiene il Collegio che sulla base delle complessive risultanze processuali vi sia la prova dello svolgimento di attività lavorativa da parte del ricorrente per otto ore al giorno quantomeno per 6 giorni alla settimana (8x6=48 ore settimanali).

Ne deriva che non è condivisibile la sentenza là dove è stato ritenuto che, anche ammettendo la genuinità delle deposizioni dei colleghi del ricorrente, non sarebbe possibile sulla base degli elementi in atti individuare gli specifici termini del superamento dell’orario di lavoro contrattualmente stabilito.

In definitiva, accertato lo svolgimento di otto ore di lavoro straordinario  alla  settimana,  va   riconosciuto  al un credito per differenze retributive pari ad € 6.323,20 (ottenuto moltiplicando la retribuzione contrattuale oraria media di 8,05 euro, maggiorata del 30% a 10,40 euro, per le otto ore di straordinariosettimanali, su un arco di 4 settimane, il tutto moltiplicato per i 19 mesi lavorati nelle tre stagioni 2014-2015 e 2016); a tale importo si aggiunge la relativa incidenza sul TFR per € 468,38 (€ 6.323,20 : 13,5), per un totale complessivo di € 6.791,58.

Resta inteso che sulla scorta di quanto emerso dall’istruttoria orale alcun danno da usura psico-fisica per mancata fruizione dei riposi può essere riconosciuto in favore dell’appellante non essendo state provate in causa le concrete modalità con cui venivano organizzati i riposi né con quale frequenza siano stati in goduti dal

nei tre periodi lavorativi. In altri termini, non essendo risultato un inadempimento datoriale dell’obbligo di fare osservare i riposi al lavoratore alcun credito risarcitorio può essere vantato dall’appellante per danno da usura psico-fisica cagionato da mancata fruizione dei riposi.

In merito al riconoscimento del credito per differenze retributive da lavoro straordinario, dunque, la sentenza dev’essere riformata, con condanna della società appellata al pagamento in favore dell’appellante della sopra indicata somma, maggiorata di rivalutazione monetaria e interessi legali.

***

La sentenza, invece, merita di essere confermata con riguardo all’ulteriore credito affermato dall’appellante fondato sullo svolgimento di mansioni superiori con conseguente reiezione del gravame sul punto.

L’appellante insiste nel riconoscimento di tale voce di credito ribadendo : che dopo il primo anno in cui si era limitato a svolgere le mansioni di cameriere -cd. commis de rang-, nelle stagioni successive del 2015 e 2016 lo stesso aveva svolto, in aggiunta, anche le mansioni di cd. chef de rang provvedendo ad incassare il conto ai tavoli con relativo maneggio di contante; che aveva allo scopo un portafoglio e teneva la contabilità con la chiusura dello stesso a fine servizio e consegna del totale sotto la propria responsabilità; che al bisogno aveva anche svolto le mansioni di barista, tutti compiti che a suo dire non erano confacenti con quelli più semplici dell’operaio di 6 livello Super attribuitogli e che giustificavano, invece, il riconoscimento del livello 5 ex CCNL applicato.

L’art. 201 del CCNL Turismo applicato, invero, individua quali caratteristiche del livello riconosciuto, il “possesso di adeguate capacità tecnico-pratiche comunque acquisite” e lo svolgimento di “lavori di normale complessità” e, viceversa, quali caratteristiche del livello invocato, il “possesso di qualificate conoscenze e capacità tecnicopratiche” nonché lo svolgimento di “compiti esecutivi che richiedono preparazione e pratica di lavoro”.

E’ pacifico che tra le figure professionali appartenenti al 6 livello Super compare il “commis de rang” mentre la declaratoria del 5 livello comprende la figura dello “chef de rang”.

La distinzione tra i compiti propri delle due figure professionali è stata descritta in maniera chiara dai testimoni ascoltati in primo grado che hanno spiegato che lo chef de rang si occupa di prendere le ordinazioni dai clienti e di incassare il conto con conseguente maneggio di denaro e assunzione della relativa responsabilità mentre il commis apparecchia e sparecchia i tavoli e va in cucina a ritirare le pietanze e le porta ai tavoli; ogni chef, inoltre, ha a sua disposizione anche più commis de rang.

In linea di principio, dunque, il diverso inquadramento delle due figure trova giustificazione nella maggiore responsabilità e competenza dello chef che, come detto, si occupa di gestire il rapporto con la clientela e assume la responsabilità dell’incasso, rispetto al commis che svolge i compiti più semplici del cameriere coordinandosi con lo chef (si veda sul punto, tra le altre, la spiegazione fornita dal teste P : “praticamente lo chef de rang gestiva un rango della terrazza di questo hotel, che era divisa in tre ranghi. Parlo della terrazza principale. Lo Chef de rang prendeva gli ordini, faceva accomodare i clienti, mentre il commis serviva le pietanze ai tavoli, serviva le comande. La differenza era anche che uno aveva la responsabilità anche di incassare, mentre l’altro serviva ai tavoli”).

Ciò detto, l’istruttoria orale, a parere del Collegio, non ha dimostrato l’assegnazione delle mansioni di chef de rang al

B né in maniera continuativa nè quantomeno prevalente rispetto all’attività di cameriere che, per quanto pacifico, egli ha sempre e comunque continuato a svolgere negli anni 2015 e 2016 (sul 2014 non vi è contestazione né rivendicazione retributiva per mansioni superiori).

In particolare, dalle dichiarazioni dei testi è emerso che il. B faceva un po' di tutto e che talvolta, in effetti, è stato chiamato a svolgere anche l’attività di chef de rang in aiuto ad altro chef o in sostituzione di esso.

Il teste C  per esempio, ha riferito : “le sue mansioni   erano tante perché era un bravo ragazzo, aiutava a far tutto, faceva il cameriere sia in sala ristorante che in sala hotel, prendeva le comande al ristorante, sparecchiava, usava le macchinine elettriche per portare le valigie ai clienti, quello che serviva insomma” e ha aggiunto : “ (uno degli chef) “da solo non ce la faceva allora avevo messo come secondo chef de rang, ho quindi diviso un rango grosso, cioè dove ci sono i tavoli, per due…. Perché poi l’abbiamo spostato a fare il direttore da un’altra parte; quindi si è occupato di tutta la terrazza, da solo, fino a quando non è arrivato un aiuto dopo un mese circa.”; anche il teste P ha riferito di sostituzioni da  parte del di altri chef precisando : “il primo anno quando iniziò, come dicevo, era un commis; il secondo, quando iniziarono ad avvenire queste mancanze, lui sostituiva gli chef de rang e aveva l’attrezzatura”.

Ha riferito dello svolgimento occasionale dell’attività di  chef de rang anche il teste P , addetto al turno serale, là dove ha affermato : “per quel che so io la sera non faceva le mansioni di chef de rang, forse aveva la chiavetta per le ordinazioni. a sera il terrazzino viene occupato dai clienti dell’albergo quindi non serviva lo chef de rang; di giorno invece poteva essere che nel terrazzino di cui mi parla ci venissero messi i gruppi e in quel caso penso che fosse a fare lo chef de rang… ma non era una cosa fissa, solo quando c’era la necessità”; il teste ed ex collega Z con mansioni di chef de rang, infine, ha  affermato  che  il  ricorrente ha sempre fatto il commis : “il non prendeva le ordinazioni dai clienti, non era responsabile dei clienti, sistemava i piatti, prendeva il cibo e lo portava sul tavolo, sbarazzava il tavolo.”, salvo precisare che nel terrazzo superiore “c’era un unico chef de rang con 20 tavoli circa, ogni tanto anche lui”

“prendeva la comanda con un taccuino per darmi una mano e lo diceva a me che poi lo inserivo nel sistema. Adr lui non incassava, non aveva il portafoglio…. non aveva la chiave, ogni tanto prendeva qualche ordinazione mentre girava quando gli chef erano impegnati e per esempio se un cliente chiedeva un’aggiunta o qualcosa la portava. chiavetta è un chip che metti sul computer per mettere l’ordinazione, apri il tavolo e inizi a mettere vino, pesce, pizza, mandi via e parte la comanda in cucina, senza quella non puoi ordinare perché  non  esce lo scontrino; non ce l’aveva, se ha sostituito qualcuno qualche giorno, vuol dire che il collega sostituito gli ha prestato la sua anche perché le chiavette erano nominative”.

In sintesi, l’istruttoria orale ha evidenziato che il sempre svolto l’attività di cameriere -commis de rang- e che quando ve ne è stata la necessità ha anche provveduto a svolgere alcuni compiti tipici di chef assenti o in aiuto ad altri chef ma non gli è mai stato assegnato un settore di tavoli fisso, a differenza degli altri chef de rang, né aveva una chiavetta per le ordinazioni e, comunque, quando ha svolto tali compiti lo ha fatto in via occasionale e  sporadica e non certo quale attività principale, come invece richiesto dal CCNL applicato nel caso di mansioni promiscue per il riconoscimento del livello superiore (v. art. 52 CCNL in atti : “in caso di mansioni promiscue si farà riferimento all’attività prevalente, tenendo conto di quella di maggior valore professionale sempre che venga abitualmente prestata, non si tratti di un normale periodo di addestramento e non abbia carattere accessorio o complementare”).

La sentenza, dunque, là dove non ha riconosciuto al ricorrente un credito fondato sullo svolgimento di mansioni superiori va confermata in quanto corretta.

***

La parziale riforma della decisione impone una nuova regolamentazione delle spese di lite per entrambi i giudizi, che, nella misura indicata in dispositivo, il Collegio ritiene giustificato compensare nella misura della metà in considerazione dell’accoglimento del ricorso introduttivo per una sola voce di credito rivendicata (straordinari) e per importo inferiore a quello richiesto, ponendo la restante metà delle spese a carico della parte appellata secondo la soccombenza.

PQM

1) in riforma della sentenza n. 772/2022 del Tribunale di Brescia sezione lavoro, condanna la società Limongarda s.r.l. al pagamento  in favore di a titolo di differenze retributive per lavoro straordinario della somma lorda di € 6.791,58

oltre rivalutazione monetaria e interessi legali;

2) compensa per metà le spese di entrambi i gradi di giudizio e condanna la società appellata al pagamento in favore dell’appellante della restante parte nella misura di € 1.500,00, oltre accessori di legge, per spese di primo grado e di € 1.600,00, oltre accessori di legge, per spese del presente grado di giudizio

Brescia, 30 marzo 2023 Il Consigliere estensore (dott.ssa Silvia Mossi)

Il Presidente (dott. Antonio Matano)

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