Discriminatoria la circolare Inps che esclude gli stranieri con permesso attesa occupazione dall'assegno unico universale

Tribunale di Trento Sentenza 19/09/2023 n 121 Giudice Dott. Giorgio Flaim
Sentenza in sintesi:
La circolare n. 23/2022 Inps che non include i titolari di permesso attesa occupazione fra i beneficiari dell'assegno unico unioversale è discriminatoria, poichè viola il principio di parità di trattamento fra cittadini dell'Unione e stranieri soggiornanti in UE titolari di permesso unico lavoro (permesso superiore ai sei mesi) ex art. 12 della direttiva 2011/98/UE.
testo della sentenza:

 

N. R.G. 113/2023

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO

sezione lavoro

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale, in funzione digiudice del lavoro, nella persona fisica del magistrato dott. Giorgio Flaimpronunzia la seguente

SENTENZA

ex art. 28 co.1 d.lgs. 1.9.2011,n. 150 ed ex art. 281-terdecies in relazione all’art. 281-sexies cod.proc.civ.nella causa per controversia in materia di discriminazione promossa con ricorsodepositato in data 28.3.2023

da

XXX

rappresentata e difesa dall’ avv.Giovanni Guarini pec giovanni.guarini@pec.it

e dall’avv. Alberto Guariso pec alberto.guariso@milano.pecavvocati.it

ricorrente

contro

I.N.P.S.

in persona del legalerappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. RaimundBauer pec avv.raimund.bauer@postacert.inps.gov.it e dall’avv. Marta Odorizzipec avv.marta.odorizzi@postacert.inps.gov.it

convenuto

e

c o n l ’ i n t e r v e n t o

d i

ASSOCIAZIONE PER GLI STUDIGIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE – ASGI in persona del legale rappresentante protempore, rappresentata e difesa dall’ avv. Giovanni Guarini pec giovanni.guarini@pec.ite dall’avv. Alberto Guariso pec alberto.guariso@milano.pecavvocati.it

interveniente

CONCLUSIONI DI PARTERICORRENTE

“Disattesa ogni contrariadifesa ed eccezione,

a) accertare e dichiarareil carattere discriminatorio della condotta tenuta dall’INPS consistentenell’aver negato il diritto della ricorrente all’AUU in relazione al figliominore a causa della titolarità, in capo alla ricorrente, del permesso di soggiornoper attesa occupazione ex art. 22 TU immigrazione;

e conseguentemente, ai finidi rimuovere l’accertata discriminazione:

b) accertare e dichiarareil diritto della ricorrente a percepire l’assegno unico sin da marzo 2022 epertanto l’insussistenza dell’indebito vantato dall’INPS con la lettera in data….ela conseguente insussistenza dell’obbligo della ricorrente di restituire dettasomma;

c) condannare l’INPS apagare la somma pari ad € 335,00 euro mensili (o il diverso periodo che saràritenuto di giustizia) a decorrere dal mese di marzo 2022 fino alla data dellasentenza o in subordine la somma di euro 4.020,00 come maturati alla data dideposito del ricorso o la diversa somma che si riterrà di giustizia;

d) ordinare all’INPS,occorrendo anche nell’ambito del piano di rimozione ex art. 28, comma 5, d.lgs.150/2011, di riconoscere alla ricorrente, anche per il futuro, l’AUU anche inpresenza di permesso per attesa occupazione, fermo restando ogni altrorequisito richiesto anche ai cittadini italiani;

e) condannare l’INPS alpagamento delle spese di lite, comprese le competenze e gli onorari (oltre IVA,CPA e maggiorazione forfettaria) da distrarsi in favore dei sottoscrittiprocuratori antistatari

CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA

In via preliminare:

-accertarsi e dichiararsil’inammissibilità del ricorso/intervento per i motivi sopra esposti;

-accertarsi e dichiararsila carenza di legittimazione ad agire ed il difetto di giurisdizione per imotivi già esposti;

In via principale:

• rigettarsi integralmentetutte le domande formulate dalla ricorrente e dall’intervenuta ASGI neiconfronti dell’INPS, in quanto infondate in fatto e in diritto, e non provati”;

• rifusione di spese ecompetenze del presente grado di giudizio.

In via subordinata:

in caso di accoglimento delricorso riguardo alla richiesta di condanna alla rivalutazione monetaria e gliinteressi legali sui ratei pretesi, accertarsi e dichiararsi l'assolutainfondatezza oltre i limiti di cui all'art. 16, comma 6, della L n. 412/91

CONCLUSIONI DI PARTEINTERVENIENTE

“In via preliminare,

dichiarare l’ammissibilitàdell’intervento spiegato nel presente giudizio.

Nel merito,

in via principale:

accertare e dichiarare ilcarattere discriminatorio della condotta tenuta dall’INPS, consistentenell’aver adottato la circolare n. 23 del 9.2.2022, nella parte in cui escludei titolari di permesso per attesa occupazione ex art. 22, comma 11, TU immigrazionedalla possibilità di ottenere l’Assegno Unico Universale ex d.lgs 230/213.

E conseguentemente, al finedi rimuovere l’accertata discriminazione e di evitare la reiterazione dellastessa:

2. ordinare all’INPS e peresso al legale rappresentante pro tempore di modificare la circolare n. 23/2022indicando i titolari di permesso per attesa occupazione ex art. 22

comma 11, TU immigrazionetra gli aventi diritto all’Assegno Unico Universale ex dlgs 230/213 e comunqueordinare all’Istituto stesso di assumere tutti i provvedimenti idonei aconsentire che i titolari del predetto permesso per attesa occupazione possanoaccedere all’AUU a parità di condizione con i cittadini italiani

3. ordinare inoltreall’INPS di procedere d’ufficio alla revisione di tutti i provvedimenti dirigetto adottati nei termini di cui al punto che precede, emanando a tal fineuna disposizione a tutte le sedi locali;

4. dato atto che gli ordinidi cui ai punti 2 e 3 configurano altrettanti obblighi di fare infungibile,condannare l’INPS a pagare all’associazione ricorrente, per ogni giorno diritardo nell’esecuzione dei predetti ordini una somma da determinarsi ai sensidell’art. 614-bis c.p.c. e comunque non inferiore a euro 100,00 per die, condecorrenza dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione dell’emanandoprovvedimento;

5. ordinare di comunicarela modifica della prassi dell’Istituto mediante pubblicazione di un avvisosulla home page del sito istituzionale, per un minimo di giorni 60 e comunquemediante pubblicazione sul sito stesso dell’emanando provvedimento e della circolarenel nuovo testo;

6. adottare ogni opportunoulteriore provvedimento, nell’ambito del piano di rimozione di cui all’art. 28d.lgs 150/11, utile al fine di evitare il reiterarsi della discriminazione.

In via subordinata, salvogravame:

1. Accogliere le domandeproposte dai ricorrenti”.

 

In ogni caso:

2. condannare l’INPS allarifusione delle spese legali in favore dell’interveniente, con distrazione infavore dei procuratori, che si dichiarano antistatari

MOTIVAZIONE

le domande proposte dallaricorrente

La ricorrente XXX –

premesso che:

 fino al 24.6.2021 è statatitolare di permesso per lavoro subordinato ex artt. 5 e 5-bis d.lgs.25.7.1998, n. 286 ed ex art. 36 d.P.R. 31.8.1999, n. 394;

 a far data dal 24.6.2021,avendo perso il lavoro, è stata titolare di permesso per attesa occupazione exart. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999, con scadenzaal 26.9.2022 (doc. 6 ric.);

 in data 19.7.2022 presentavadomanda di rinnovo del permesso per attesa occupazione (doc. 6.1 ric.), ilquale veniva rinnovato fino al 26.9.2023;

 in data 24.3.2022 presentavadomanda di Assegno Unico Universale (d’ora in poi AUU) ex d.lgs. 29.12.2021, n.230, per i propri due figli minorenni (docc. 1, 2, 14, 15 e 18 ric.);

 a fronte di accoglimento delladomanda presentata, percepiva l’importo complessivo di euro 2.450,00 (docc. 1,2 e 3 ric.)  per il periodo 1.3.2022-30.9.2022;

 nel mese di ottobre 2022I.N.P.S. interrompeva l’erogazione dell’assegno con la seguente motivazione: “aseguito del messaggio 2951 del 25/07/2022 è stato chiarito che il permesso disoggiorno per attesa occupazione non è titolo idoneo alla percezione dellaprestazione pertanto la domanda verrà posta in decadenza” (doc. 7 ric.);

 con lettera dd. 20.2.2023I.N.P.S. richiedeva la restituzione della somma percepita pari ad euro 2.450,00(doc. 9);

 

propone:

1)

domanda di accertamento del “caratterediscriminatorio della condotta tenuta dall’INPS consistente nell’aver negato ildiritto […] all’AUU in relazione al figlio minore a causa dellatitolarità […] del permesso di soggiorno per attesa occupazione ex art. 22 TUimmigrazione”;

2)

conseguente domanda diaccertamento del diritto a percepire l’AAU sin da marzo 2022;

3)

conseguente domanda di condannadell’Istituto “a pagare la somma pari ad € 335,00 mensili a decorrere dalmese di marzo 2022 fino alla data della sentenza o in subordine la somma dieuro 4.020,00 come maturati alla data di deposito del ricorso”, con ordinea I.N.P.S. “di riconoscere alla ricorrente, anche per il futuro, l’AUU anchein presenza di permesso per attesa occupazione”.

4)

conseguente domanda diaccertamento dell’insussistenza dell’asserito indebito, di cui l’I.N.P.S.pretende la ripetizione.

 

le domande propostedall’intervenuta ASGI

Con atto depositato in data29.5.2023 è intervenuto nel presente giudizio l’associazione ASGI -ASSOCIAZIONE DEGLI STUDI GIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE APS - Associazione diPromozione Sociale (d’ora in poi ASGI), sostenendo che la condotta posta inessere da I.N.P.S., consistente nell’emanazione del messaggio n. 2951 del25.7.2022, che esclude dalla prestazione di cui all’AUU tutti i titolari dipermesso per attesa occupazione, dia luogo ad una ipotesi di “discriminazionecollettiva” nei confronti dei cittadini extraeuropei in possesso di talepermesso.

Chiede, dunque, una pronuncia chegarantisca “per la generalità dei cittadini stranieri che si trovano nellemedesime condizioni della ricorrente e cioè per la collettività indeterminatadei cittadini stranieri titolari di permesso per attesa occupazione con figli acarico, i quali, a seguito della posizione assunta dall’INPS sulla questione,non hanno potuto e non potranno accedere alla prestazione” l’eliminazionedegli effetti della condotta ritenuta discriminatoria.

A tal fine, chiede, inparticolare:

1) di dichiarare ilcarattere discriminatorio della condotta tenuta dall’I.N.P.S., consistentenell’aver emanatoil messaggio n. 2951 del 25.7.2022, che esclude i titolari dipermesso per attesa occupazione dalla possibilità di ottenere l’AUU ai sensidel d.lgs. 230/213;

2) di ordinareall’I.N.P.S. di modificare la circolare n. 23/2022, indicando i titolari dipermesso per attesa occupazione exart. 22 comma 11, TU immigrazione tragli aventi diritto all’AUU e comunque ordinare all’Istituto di assumere tutti iprovvedimenti idonei a consentire che i titolari del predetto permesso possanoaccedere all’AUU a parità di condizione con i cittadini italiani;

3) di ordinareall’I.N.P.S. di procedere d’ufficio alla revisione di tutti i provvedimenti dirigetto adottati nei confronti degli stranieri titolari di permesso per attesaoccupazione;

4) di condannarel’I.N.P.S. a pagare all’Associazione ricorrente, per ogni giorno di ritardonell’esecuzione dei predetti ordini, una somma da determinarsi ai sensidell’art. 614-bis cod.proc.civ.;

5) di ordinareall’I.N.P.S. di comunicare la modifica della prassi dell’Istituto mediantepubblicazione di un avviso sulla home page del sito istituzionale.

 

le ragioni della decisione

1. in ordine all’eccezione,sollevata dall’I.N.P.S., di “inammissibilità del ricorso ex art. 702cod.proc.civ.

In via preliminare l’I.N.P.S.eccepisce l’ “inammissibilità del ricorso ex art. 702 cod.proc.civ.”,adducendo che:

la riforma del processocivile di cui al D.lgs. n. 149/2022 (cosiddetta riforma Cartabia) e la L.197-2022, hanno introdotto, a partire dal 1° marzo 2023, il rito semplificatodi cognizione, regolato dagli articoli 281 decies e ss. c.p.c., abrogando il procedimentosommario di cognizione, regolato dall’art. 702 bis e ss. cpc…”;

comunque… in entrambe lediscipline si tratta di un giudizio introdotto nelle forme del procedimentosemplificato quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando ladomanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzionenon complessa. L’INPS eccepisce che la presente vertenza non rientra queste,motivo per cui andava instaurato un ordinario giudizio previdenziale.

La documentazione dimessa p.s.è insufficiente per poter riconoscere i benefici richiesti.

Il fatto stesso che lavertenza non possa essere decisa sulla base della documentazione prodotta ingiudizio comporta di conseguenza che il ricorso avversario debba essererigettato”.

L’eccezione non è fondata.

Come si evince agevolmentedall’epigrafe dell’atto introduttivo, la ricorrente esercita una “azionecivile contro la discriminazione ex art. 28 D.lgs. 150/11” (riconducibile,alla luce della causa petendi che la identifica, in un’azione azionecivile contro la discriminazione per motivi nazionali ai sensi dell’art. 44d.lgs. 25.7.1998, n. 286).

A ben vedere nel ricorso non sirinviene alcun riferimento al procedimento sommario di cognizione ex artt. 702e segg. cod.proc.civ..

Anzi, nella parte finaledell’atto parte ricorrente richiama tutt’altra disciplina, così deducendo: “Peri motivi sopra esposti, le ricorrenti, rappresentate e difese come indicato inepigrafe, chiedono che il Tribunale in funzione di Giudice del lavoro,previdenza e assistenza Voglia fissare udienza per la discussione del presentericorso e invita l’Amministrazione convenuta, ai sensi dell’art. 163, co. 3, n.7, a costituirsi nel termine di dieci giorni prima della data dell’udienza cheverrà fissata dal Giudice designando, con espresso avvertimento che, indifetto, incorrerà nelle preclusioni e decadenze previste dagli artt. 38 e 167c.p.c. e che si procederà in sua assenza e contumacia, per ivi sentireaccogliere le seguenti conclusioni…”.

Queste difese appaionorispettose, quanto meno nel loro contenuto (infatti i richiami normativi sonorelativi all’ordinario procedimento di cognizione), del disposto ex art. 28co.1 d.lgs. 151/2011 vigente all’epoca del deposito del ricorso (28.3.2023), secondocui:

Le controversie in materia didiscriminazione di cui all'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998,n. 286…, sono regolate dal rito semplificato di cognizione, ove nondiversamente disposto dal presente articolo”.

Lo stesso può dirsi delsuccessivo decreto di fissazione dell’udienza, che è stato emesso in data30.3.2023 conformemente all’ “art. 281-undecies co.2 cod.proc.civ. inrelazione all’art. 28 d.lgs. 1.9.2011, n. 150”.

Il rilievo sollevatodall’I.N.P.S, secondo cui nel presente giudizio “i fatti di causa non sonocontroversi”, né “la domanda è fondata su prova documentale, o è dipronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa”, è del tuttoininfluente, atteso che l’assoggettamento delle controversie in materia didiscriminazione di cui all'art. 44 d.lgs. 286/1998 al rito semplificato dicognizione non è condizionato alla sussistenza di quei presupposti, che l’art.281-decies cod.proc.civ. prescrive in via generale con norma, la qualeevidentemente trova deroga nelle fattispecie speciali, quale quella ex art. 28d.lgs. 150/2011 ricorrente nel caso in esame.

2. in ordine all’eccezione,sollevata dall’I.N.P.S., di inammissibilità dell’azione civile contro ladiscriminazione ex art. 28 d.lgs. 150/2011

Sempre in via preliminarel’I.N.P.S. eccepisce l’inammissibilità dell’azione civile contro ladiscriminazione ex art. 28 d.lgs. 150/2011, asserendo che la presentecontroversia, avendo a oggetto la domanda di condanna dell’I.N.P.S. a pagare alricorrente la somma maturata e maturanda a titolo di AAU per i due figliindicati in ricorso, ha natura previdenziale (e quindi doveva essere propostacon ricorso ex art. 442 cod.proc.civ.), mentre non è diretta adeliminare un comportamento discriminatorio.

L’esame dell’eccezione esige unaspecifica e precisa analisi della causa petendi e del petitum cheidentificano l’azione promossa dal ricorrente.

A)

In ordine agli elementi di fattodella causa petendi la ricorrente allega che:

 fino al 24.6.2021 è statatitolare di permesso per lavoro subordinato ex artt. 5 e 5-bis d.lgs.286/1998ed ex art. 36 d.P.R. 394/1999;

 a partire dal 24.6.2021, avendoperso il posto di lavoro, le è stato riconosciuto il permesso per attesaoccupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co.  5 d.P.R.394/1999, con scadenza al 26.9.2022(doc. 6 ric.), poi rinnovato fino al 26.9.2023;

 è madre di due figli minorenni;

 al momento della presentazionedella domanda di attribuzione dell’AUU (24.3.2022) e per tutto il periodo dierogazione della prestazione (1.3.2022 - 30.9.2022) era titolare del suddettopermesso per attesa occupazione.

 

In ordine agli elementi didiritto della causa petendi la prospettazione di parte ricorrente sembraessere la seguente:

 l’art. 2, lett. f), n. 1 dellalegge delega 1.4.2021 n. 46 per l’istituzione dell’AAU delegava il governo aprevedere, quanto ai requisiti di cittadinanza, che a detta prestazioneavessero accesso (tra gli altri) “i titolari del permesso di soggiorno permotivi di lavoro o di ricerca di durata almeno annuale”;

 il comma 1-terdell’art.41 d.lgs. 286/1998  –novellato  dalla L. 23.12.2021, n. 238 (“Disposizioniper l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italiaall'Unione europea -Legge europea 2019-2020”) allo scopo di adeguare lalegislazione nazionale alla direttiva 2011/98/UE (“relativa a una proceduraunica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadinidi paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e aun insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornanoregolarmente in unoStato membro”, estinguendo così una procedura avviatadalla Commissione europea) – prescrive che le prestazioni familiari di cuiall'art. 3, paragrafo 1 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeoe del Consiglio, del 29 aprile 2004 vengano attribuite a “stranieri titolaridi permesso unico di lavoro autorizzati a svolgere un’attività lavorativa perun periodo superiore a sei mesi”;

 l’art. 3 co.1, lett. a) d.lgs.230/2021, che dà attuazione alla legge delega in materia di AAU,nell’individuare i cittadini extra UE destinatari della prestazione, in luogodella dizione “permesso di soggiorno per motivi di lavoro”, contenutanella legge delega, ha utilizzato quella di “permesso unico lavoro”,apparentemente simile ma più strettamente collegata al permesso previsto dalladirettiva 2011/98 e alle questioni oggetto della citata procedura diinfrazione, disponendo che: “1. L'assegno di cui all'articolo 1 èriconosciuto a condizione che al momento della presentazione della domanda eper tutta la durata del beneficio il richiedente sia in possesso congiuntamentedei seguenti requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno:

 

a) … sia cittadino di unoStato non appartenente all’Unione europea in possesso del permesso di soggiornoUE per soggiornanti di lungo periodo o sia titolare di permesso unico di lavoroautorizzato a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a seimesi… ”;

 inizialmente l’I.N.P.S. si èdeterminata in conformità, prevedendo nella circolare n. 23 del 9.2.2022 (doc.16 ric.), al punto 3.1. che: “Ai fini della corretta individuazione deirequisiti soggettivi di cui al citato articolo 3, comma 1, tenuto conto diquanto previsto della direttiva 2011/98/UE, dal TU immigrazione…”);

 nel prosieguo, però,l’I.N.P.S., mediante il messaggio n. 2951 del 25.7.2022 (doc. 8 ric.) haritenuto che: “Non possono invece essere inclusi nella platea deibeneficiari i titolari dei seguenti permessi:

 

Attesa occupazione (art. 22del D.lgs n. 286/1998 e successive modificazioni; art. 37 D.P.R. n. 394/1999 esuccessive modificazioni)”;

 tuttavia il permesso per attesaoccupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999consente di lavorare ed, anzi, alla luce dell’ultima norma citata, il suorilascio è addirittura condizionato al fatto che il lavoratore mantenga ladisponibilità all’assunzione, rendendo la apposita dichiarazione al Centro perl’impiego;

 in proposito assumono rilievo:

 

l’art. 5 co. 8.1. d.lgs.268/1998, il quale dispone che “nel permesso di soggiorno che autorizzal'esercizio di attività lavorativa secondo le norme del presente testo unico edel regolamento di attuazione è inserita la dicitura: "perm. unico lavoro””.

il successivo co. 8.2.  elenca i permessi che, pur consentendo dilavorare, non sono soggetti alla disposizione del comma precedente (cioè nonsono permessi unici lavori): in tale elenco non è compreso il permesso perattesa occupazione di cui all’art. 22, comma 11 d.lgs. 268/1998;

quindi, alla luce di quelle duedisposizioni, il legislatore nazionale ha stabilito che il permesso per attesaoccupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5d.P.R.394/1999non solo consente di lavorare, ma è un vero e proprio permesso unico;

 nella prassi, il Ministerodell’Interno, sulle tessere plastificate dei permessi di soggiorno per attesadi occupazione, riporta anche l’indicazione “perm. unico lavoro” (doc. 6 e 10fasc. ric.);

 

 la sospensione dellacorresponsione dell’emolumento disposta dall’I.N.P.S. e la richiesta direstituzione della somma pari ad euro 2.450,00, pari all’ammontare delleprestazioni già erogate, integra  unadiscriminazione diretta basata sulla nazionalità tra i cittadini italianimomentaneamente privi di occupazione e i cittadini di Paesi terzi titolari dipermesso di soggiorno per attesa occupazione privi, al momento dellapresentazione della domanda, di un’occupazione, ponendosi incontrasto con il principio di parità di trattamento sancitodall’art. 12, paragrafo 1, lett. e) della direttiva 2011/98/UE, il qualeprevede che “i lavoratori dei paesi terzi di cui all'art. 3, paragrafo 1,lettere b) e c)” beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadinidello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori dellasicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883 del 2004 del Parlamentoeuropeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento deisistemi di sicurezza sociale”;

 questo elemento rappresenta un quidpluris da cui deriva che la mancata attribuzione della prestazione (oltrealla restituzione di quelle già versate) non consiste in un mero inadempimentodell’obbligazione scaturente in capo all’I.N.P.S. dalle norme in tema di AAU,ma assume i connotati del fatto illecito rappresentato da una condottadiscriminatoria per motivi nazionali, consumata in contrasto con le norme cheimpongono la parità di trattamento tra i cittadini italiani (amplius dell’UnioneEuropea) e i cittadini non appartenenti all’Unione Europea;

 

di qui la legittimazione delricorrente ad esercitare l’azione civile contro la discriminazione per motivinazionali ex art. art. 28 d.lgs. 150/2011.

B)

In ordine al petitum, allaluce delle considerazioni appena svolte, la domanda di condanna dell’I.N.P.S.alla corresponsione, in favore della ricorrente delle prestazioni già maturatea titolo di AAU e il richiesto accertamento dell’insussistenza dell’indebitacorresponsione delle prestazioni versate in favore della stessa, da partedell’I.N.P.S., da marzo 2022, non rappresentano soltanto l’espressione dellapretesa affinché l’I.N.P.S. adempia le sue obbligazioni di prestazione impostedalle norme in tema di AAU, ma costituiscono le misure la cui adozione è idoneaa far cessare il comportamento discriminatorio e a rimuovere gli effetti che ladiscriminazione ha già cagionato.

- - -

La causa petendi identificativadell’azione esercitata dalla ricorrente nel presente giudizio è effettivamentecostituita da una discriminazione diretta basata sull’origine nazionale dellaricorrente, che in thesis l’I.N.P.S. avrebbe consumato rigettando ladomanda, presentata dalla ricorrente, di erogazione dell’AAU; infatti si ponequi la questione della disparità di trattamento che l’interpretazione dellanorma, di cui all’art. 3 co. 1, lett. a) d.lgs. 230/2021, adottatadall’I.N.P.S. con il messaggio n. 2951 del 25.7.2022, introduce tra i cittadiniitaliani e quelli di Paesi appartenenti all’Unione europea momentaneamentesprovvisti di lavoro, ma iscritti nelle liste di collocamento e cittadini diPaesi terzi titolari di permesso di soggiorno per attesa occupazione in quantomomentaneamente sprovvisti di lavoro, ma iscritti nelle liste di collocamento eiscritti nelle liste di collocamento.

Inoltre, il petitum, ossiail richiesto accertamento del diritto, in capo alla ricorrente, allacorresponsione dell’AAU e la proposta condanna dell’I.N.P.S. al pagamento delleprestazioni già maturate a tale titolo, concerne effettivamente misure volte afar cessare il comportamento discriminatorio e a rimuovere gli effetti che ladiscriminazione ha già cagionato.

In definitiva deve essererigettata l’eccezione, sollevata dall’I.N.P.S., di inammissibilità dell’azionecivile contro la discriminazione ex art. 28 d.lgs. 150/2011.

3. in ordine all’eccezione,sollevata dall’I.N.P.S., di difetto di legittimazione ad agire dell’intervenutaASGI

A fronte dell’intervento nelpresente giudizio di ASGI – ai sensi dell’art. 5 co.3 d.lgs. 9.7.2003, n. 215,il quale legittima le associazioni e gli enti inseriti nell’apposito elencoapprovato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e delMinistro per le pari opportunità ad agire in giudizio “nei casi didiscriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto eimmediato le persone lese dalla discriminazione” – I.N.P.S. eccepisce ildifetto di legittimazione ad agire di detta associazione, asserendo, inparticolare, che:

a) i soggetti lesi sono “immediatamentee direttamente individuati e, comunque, individuabili, trattandosi di tuttiquei cittadini appartenenti a paesi diversi da quelli comunitari che hannopresentato domanda per il riconoscimento dell’assegno unico universale”;

b) nessuna norma attribuisceall’associazione intervenuta la legitimatio ad causam attiva, la qualenon potrebbe trovare fondamento né nell’ art. 5 co.3 d.lgs. 215/2003, chedisciplina l'azione discriminatoria collettiva in attuazione della direttiva2000/43/CE riguardante i fattori della razza e dell'origine etnica, ma nonanche quello della nazionalità, né negli artt. 43 e 44 co. 10 d.lgs.  286/1998, che prevedono la tutela mediantel’azione collettiva per le discriminazioni che si verificano anche perl’origine nazionale, ma “nell’ambito dei (soli)rapporti di lavoro”.

 

L’eccezione non può essereaccolta:

quanto ad a)

Occorre rilevare come ad avvisodi ASGI la presunta discriminazione – assertamente posta in essere da I.N.P.S. exart. 3 co.1, lett. a) d.lgs 230/2021, in tema di requisiti soggettivi diaccesso all’AAU del richiedente, nel senso di escludere dalla fruizione dellaprestazione i cittadini degli Stati non appartenenti all’Unità Europea titolaridi permesso di soggiorno per attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs.286/1998 ed ex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999 – pregiudicherebbe non solo isoggetti che hanno presentato la domanda, poi respinta, i quali certamenterisultano individuati, o comunque, facilmente individuabili, ma anche coloroche la domanda non l’hanno presentata perché dissuasi dall’interpretazionefornita dall’Istituto.

Secondo questa prospettazione,dunque, coloro che hanno presentato all’I.N.P.S. domanda di AUU non esaurisconola platea dei soggetti discriminati, dato che vi rientrano anche tutti coloroche avrebbero potuto presentare allo stesso Istituto detta domanda, ma,purtuttavia, non lo hanno fatto a causa dall’orientamento interpretativoespresso dall’I.N.P.S. nel messaggio del 25.7.2022.

A questo proposito assume rilievoquanto statuito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 10 luglio 2008, FirmaFeryn NV, C-54/07, EU:C:2008:397, concernente un’ipotesi di discriminazionediretta effettuata al momento dell’assunzione, la quale –

dopo aver ricordato che l’art. 7della direttiva 2000/43 (che “mira a stabilire un quadro per la lotta allediscriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica, al fine di rendereeffettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento”) “imponeagli Stati membri di garantire procedure giurisdizionali accessibili «atutte le persone che si ritengono lese, in seguito alla mancata applicazionenei loro confronti del principio della parità di trattamento» e agli organismid’interesse pubblico che agiscono in giudizio «per conto o a sostegno dellapersona che si ritiene lesa» ” (punto 22) – afferma che “da ciò non puòdedursi che l’assenza di un denunciante identificabile permetta di concludereper l’assenza di qualsivoglia discriminazione diretta ai sensi della direttiva2000/43” (punto 23), in quanto:

24 L’obiettivo di promuoverele condizioni per una partecipazione più attiva sul mercato del lavoro sarebbedifficilmente raggiungibile se la sfera di applicazione della direttiva 2000/43fosse circoscritta alle sole ipotesi in cui un candidato scartato per un postodi lavoro e che si reputi vittima di una discriminazione diretta abbia avviatouna procedura giudiziaria nei confronti del datore di lavoro. .

25 Infatti, la circostanza cheun datore di lavoro dichiari pubblicamente che non assumerà lavoratoridipendenti aventi una certa origine etnica o razziale, circostanza che in modoevidente è idonea a dissuadere fortemente determinati candidati dal proporre leloro candidature e, quindi, a ostacolare il loro accesso al mercato del lavoro,configura una discriminazione diretta nell’assunzione ai sensi della direttiva2000/43. L’esistenza di siffatta discriminazione diretta non presuppone undenunciante identificabile che asserisca di essere stato vittima di talediscriminazione.

La questione relativa allanozione di discriminazione diretta ai sensi della direttiva 2000/43 deve esseredistinta da quella relativa ai rimedi giurisdizionali previsti dall’art. 7 diquest’ultima per far accertare e sanzionare la mancata applicazione delprincipio della parità di trattamento. Tali rimedi devono infatti, inconformità delle disposizioni del detto articolo, essere accessibili allepersone che si ritengono lese da una discriminazione. Tuttavia, comespecificato dall’art. 6 della direttiva 2000/43, le prescrizioni di cuiall’art. 7 di tale direttiva costituiscono soltanto prescrizioni minime e ladetta direttiva non preclude agli Stati membri di introdurre o mantenere, perquanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni piùfavorevoli.

27 L’art. 7 della direttiva2000/43, pertanto, non si oppone in alcun modo a che gli Stati membri, nellaloro normativa nazionale, riconoscano alle associazioni che abbiano unlegittimo interesse a far garantire il rispetto della detta direttiva, ovvero all’organismoo agli organismi designati in conformità dell’art. 13 di quest’ultima, ildiritto di avviare procedure giurisdizionali o amministrative intese a farrispettare gli obblighi derivanti da tale direttiva senza agire in nome di undenunciante determinato ovvero in mancanza di un denunciante identificabile.Compete però solo al giudice nazionale valutare se la normativa internacontempli siffatta possibilità.

28 Considerato quanto precede,si devono risolvere la prima e la seconda questione affermando che il fatto cheun datore di lavoro dichiari pubblicamente che non assumerà lavoratoridipendenti aventi una determinata origine etnica o razziale configura unadiscriminazione diretta nell’assunzione ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. a),della direttiva 2000/43, in quanto siffatte dichiarazioni sono idonee adissuadere fortemente determinati candidati dal presentare le propriecandidature e, quindi, a ostacolarne l’accesso al mercato del lavoro”.

I principi espressi da talepronuncia (che la Corte ha successivamente ribadito nella sentenza del 25aprile 2013, Asociaţia Accept, C-81/12, EU:C:2013:275, punti 36-37, enella sentenza del 23 aprile 2020, NH, EU:C:2020:289, punti 40 e 63)possono trovare applicazione anche nel caso di specie, afferente a una presuntaipotesi di discriminazione diretta basata sul fattore della nazionalità, attesoche l’I.N.P.S., nel ritenere, in un suo atto interpretativo, i soggettititolari di permesso per attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 edex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999 esclusi dalla possibilità di percepire l’AUU,ha assai verosimilmente dissuaso molti di costoro dal presentare istanza perl’accesso alla prestazione, configurandosi così tale condotta un’ipotesi di(asserita) discriminazione diretta che si è realizzata, secondo quanto statuitodalla Corte di Giustizia, anche in assenza di un denunciante.

quanto a b)

Si tratta di assunti noncondivisibili perché trascurano le modifiche introdotte dalla novella ex art. 1L. 23.12.2021, n. 238 al d.lgs. 9.7.2003, n. 216 (“Attuazione delladirettiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione edi condizioni di lavoro…”), in particolare:

 all’art. 1, prevedendo la “nazionalità”quale fattore protetto da considerare nell’attuazione della parità ditrattamento per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro,

 all’art. 2, introducendo nellenozioni di “parità di trattamento”, di “discriminazione diretta”e di “discriminazione indiretta”, la “nazionalità” quale fattoreprotetto;

 all’ art. 3 co.1, lett d-ter),estendendo l’ambito di applicazione del principio di parità di trattamento,senza distinzione anche di nazionalità, in ordine all’area dello “accesso avantaggi sociali e fiscali” (pur precisando nel comma successivo che: “Ladisciplina dicui al presente decreto fa salve tutte le disposizioni vigenti inmateria di: […] b) sicurezza e protezione sociale”).

 

In questo nuovo contestolegislativo assumono una portata precettiva arricchita le norme processuali:

ex art. 4 co. 2 secondo cui: “Igiudizi civili avverso gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 2 sonoregolati dall'articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”;

ex art. 5, il quale dispone: “1.[…] le associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto odell'interesse leso, in forza di delega, rilasciata per atto pubblico oscrittura privata autenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad agire aisensi dell'articolo 4, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivodella discriminazione e dei suoi familiari, contro la persona fisica ogiuridica cui è riferibile il comportamento o l'atto discriminatorio.

2. I soggetti di cui al comma1 sono altresì legittimati ad agire nei casi di discriminazione collettivaqualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lesedalla discriminazione”.

Se ne desume che l’ASGI, essendocertamente, alla luce delle previsione del suo statuto (doc. 3 fasc. interv.),rappresentativo dell’interesse delle comunità straniere alla parità ditrattamento (oltre che essere iscritta nell’elenco ex art. 5 ult.co. d.lgs.215/03), è legittimata ad esercitare l’azione contro la discriminazionecollettiva afferente il fattore della nazionalità qualora non sianoindividuabili in modo diretto e immediato le persone lese.

Ad abundantiam è opportunoevidenziare che l’eccezione di difetto di legittimazione passiva non sarebbestata fondata neppure nel precedente contesto legislativo, quale interpretato,con orientamento consolidato, dalla Suprema Corte (Cass. 7.11.2019, n. 28745;Cass. 8.5.2017, n. 11165; Cass. 8.5.2017, n. 11166), la quale ha riconosciuto,con motivazione particolarmente articolata e raffinata, alle associazioni exart. 5 d.lgs. 215/2003 la legittimazione attiva ad esercitare l’azionecontro le discriminazioni collettive contrassegnate dal fattore dellanazionalità,

A)

quanto al profilo esegetico, allaluce della relazione che può essere individuata tra gli artt. 2 e 4 d.lgs.215/2003 e l’art. 43 d.lgs. 286/1998:

L'art. 43, commi 1 e 2 t.u.sull'immigrazione considera la nazionalità tra i fattori di discriminazionevietati in ogni campo della vita sociale, con una previsione che comprende attidi qualsiasi tipo, inclusivi anche di offese ad interessi di tipo collettivo; epertanto anche le discriminazioni definite collettive ("ognicomportamento" di pubbliche amministrazioni o di privati che abbia"lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento,il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e dellelibertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ognialtro settore della vita pubblica").

A queste discriminazionicollettive viene apprestata la tutela processuale dell'art. 44, comma 10 TUnell'ipotesi in cui vengano commesse dal datore di lavoro, prevedendosi alloscopo la legittimazione ad agire in capo alle rappresentanze locali delle organizzazionisindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale.

Non è pertanto l'art. 44,comma 10 che individua la nozione sostanziale di discriminazione collettiva;esso la si trova nell'art. 43, commi 1 e 2, limitandosi a fornire ad essatutela per l'ipotesi ivi prevista.

Quando il D.Lgs. n. 215 del2003 (all'art. 2, comma 2) prevede, anzitutto, che sia "fatto salvo ildisposto dell'art. 43, commi 1 e 2", è a questa nozione generale cheintende quindi fare riferimento ovvero alla discriminazione di natura diretta oindiretta, individuale o collettiva, ivi regolata come oggettiva. E quando,poi, al medesimo D.Lgs. n. 215 del 2003, art. 4, comma 1, stabilisce che"la tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cuiall'art. 2 si svolge nelle forme previste dall'art. 44, commi da 1 a 6, 8 e 11 testounico" è alle stesse discriminazioni (individuali e collettive, dirette edindirette) ivi previste che intende rivolgersi, attraverso una previsione chericonnette logicamente lo strumento processuale alla nozione sostanziale”;

il disposto ex art. 3 co.2 d.lgs.215/2003 ("Il presente decreto legislativo non riguarda le differenzedi trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le disposizioninazionali e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno, all'accessoall'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzie degli apolidi nel territorio dello Stato, né qualsiasi trattamento, adottatoin base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti")è “una disposizione di carattere generale diretta a delimitare, sulla basedella previsione della direttiva da cui deriva (art.3, comma 2 Direttiva2000/43/CE), il campo di applicazione dell'intervento normativo allo scopo diriservare allo Stato la regolazione sostanziale del trattamento dellostraniero. Essa però… non interferisce in alcun modo con le regole processualiin materia di discriminazioni di cui qui si discorre, anche a fronte dellespecifiche disposizioni presenti nel medesimo testo di legge. Le "differenzedi trattamento basate sulla nazionalità", di cui si discute alla lucedella disposizione in oggetto, presente nel D.Lgs. n. 215 del 2003, nonpotrebbero comunque giustificare trattamenti illeciti ed oscurare le esigenzedi protezione nascenti da discriminazioni collettive per nazionalità (giàdisciplinate dall'ordinamento), che lo stesso testo normativo riconosce anziesplicitamente, ed alle quali intende volgere la tutela processuale iviregolata”;

inoltre le associazioni, cuil’art. 5 co.3 d.lgs. 215/2003 attribuisce la legittimazione ad esercitarel’azione collettiva contro le discriminazioni afferenti ai fattori della razzae dell’origine etnica, “sono quelle iscritte nell'elenco approvato condecreto ministeriale (previsto appunto dal D.Lgs. n. 215 del 2003, art. 25) perle finalità programmatiche che le contraddistingue; le quali associazioni, inbase al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 52 devono essere qualificate dallosvolgimento di "attività a favore degli stranieri immigrati" e dallo"svolgimento di attività per favorire l'integrazione sociale deglistranieri" (non quindi testualmente in relazione alla razza o etnia);

Ora, affermare che essepossano agire in giudizio solo per le discriminazioni per razza o etnia e nonper il fattore della nazionalità che serve a qualificarle, non è solopalesemente illogico; ma introdurrebbe un ulteriore difetto di coordinamentotra norme di diverso livello, in quanto porterebbe ad ipotizzare che lalegittimazione ad agire per un certo tipo di discriminazioni (razza o etnia)sia stata conferita ad enti che si occupano di un fattore di discriminazioneche viene ritenuto dall'ordinamento del tutto differente, di diverso contenutoe rilevanza (come appunto la nazionalità straniera)”;

B)

quanto al profilo sistematico,

va negato che nel nostroordinamento, nella materia della tutela contro le discriminazioni collettive,la legittimazione ad agire in capo ad un soggetto collettivo rappresentiun'eccezione. All'opposto, essa rappresenta una regola ampiamente presente nelsettore, in sintonia con l'esigenza tipica della materia di apprestare tutela,attraverso un rimedio di natura inibitoria, ad una serie indeterminata disoggetti dal rischio di una lesione avente natura diffusiva e che perciò deveessere, per quanto possibile, prevenuta o circoscritta nella propria portataoffensiva…

Costituirebbe perciò unavistosa eccezione il mancato conferimento della legittimazione ad agire in capoad un ente esponenziale in caso di discriminazione collettiva per il fattorenazionalità. Un'eccezione che non è giustificabile, alla luce del fatto cheesso risulta, come si è visto, fattore discriminatorio parimenti vietato inogni campo della vita sociale (lavorativa ed extralavorativa) ai sensidell'art. 43 TU immigrazione”;

C)

Che la tesi negativa suscitiimmediati dubbi di costituzionalità (ai sensi dell'art. 3 Cost., commi 1 e 2 eart. 24 Cost.) pare qui evidente: sia ove si considerino le differenze ditrattamento processuale che verrebbero introdotte (senza ragionevole giustificazione)tra fattori di discriminazione che godono di eguale protezione nell'ordinamento(ai sensi dell'art. 43 TU immigrazione, D.Lgs. n. 215 del 2003, D.Lgs. n. 216del 2003 e D.Lgs. n. 198 del 2006); sia in relazione al fatto che il medesimofattore della nazionalità rileverebbe diversamente, rispetto allalegittimazione ad agire, se la discriminazione collettiva fosse commessa o menoin ambito lavorativo.

Un ulteriore profilo dicontrarietà alla Costituzione (art. 117 Cost.) emergerebbe in relazione allaCEDU, in quanto il diritto al giusto processo (previsto dall'art. 6) verrebbediversamente garantito a seconda dei differenti fattori di discriminazione cherisultano vietati nell'art. 14 (e nei quali vi è incluso quello relativoall'origine nazionale)”;

D)

L'esclusione dellalegittimazione ad agire nella discriminazione collettiva fondata sullanazionalità non appare conforme ai principi di equivalenza ed effettività dellatutela valevoli in ambito comunitario.

Il principio di effettivitàdel diritto europeo postula una tutela giuridica che tenga conto della naturadell'interesse leso e degli scopi della tutela, come ha già affermato la CGUEnella sentenza relativa al caso Feryn. Non si capirebbe altrimenti a quale finel'ordinamento comunitario dovrebbe ritenere illegittima una discriminazionediretta di carattere collettivo, i cui effetti lesivi non si siano ancorarealizzati e siano semplicemente realizzabili, o comunque ricadano su gruppi diindividui che assai difficilmente adiranno le vie giudiziarie, senzacontemporaneamente prevedere azioni processuali (senza vittime dirette) dinatura collettiva…

In relazione al principiocomunitario di equivalenza occorre considerare che, secondo un noto e ormairisalente orientamento della Corte di Giustizia, se è vero che è l'ordinamentogiuridico interno di ciascuno stato membro a stabilire le modalità proceduralidella tutela dei diritti a fondamento comunitario, è anche vero che esso nonpuò approntare sanzioni e rimedi (ivi compresi quelli processuali) di livelloed efficacia inferiore rispetto a quelli approntati per la violazione dianaloghi diritti garantiti dall'ordinamento nazionale; tenuto altresì conto cheessi non devono essere tali da rendere in pratica impossibile l'esercizio deglistessi diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare. Se si accedessealla tesi sostenuta dall'INPS risulterebbe invece che il diritto dei lungosoggiornanti alla parità di trattamento nell'accesso a prestazioni socialiessenziali previsto dall'art.11 della direttiva 2011/109 avrebbe una tutelaprocessuale meno effettiva rispetto ad un diritto analogo previsto dal dirittointerno (ad es. il diritto del disabile in ambito extralavorativo ex L. n. 67del 2006”.

4. In ordine all’eccezione,sollevata dall’I.N.P.S., di difetto di giurisdizione in punto modifica dicircolare

L’I.N.P.S. eccepisce il difettodi giurisdizione in riferimento alla domanda proposta da ASGI e volta aordinare all’Istituto di “modificare la circolare n. 23/2022 indicando ititolari di permesso per attesa occupazione ex art. 22 comma 11, TUimmigrazione tra gli aventi diritto all’Assegno Unico Universale ex d.lgs230/213”.

A fondamento deduce che: “LaP.A. non può essere destinataria di condanne ad un facere, se non nell'appositasede giudiziario- amministrativa, tanto più in una fattispecie complessa, qualequella in esame, nella quale un eventuale provvedimento impositivo di tal guisasi tradurrebbe in una inammissibile ingerenza nella potestà della pubblicaamministrazione”.

L’eccezione non meritaaccoglimento.

Come si è già ricordato, laquestione giuridica sottesa all’azione antidiscriminatoria proposta dallaricorrente attiene all’interpretazione dell’art. 3 co. 1, lett. a) d.lgs.230/2021 in tema di requisiti soggettivi necessari ai fini dell’accessoall’AAU.

Con il messaggio del 25.7.2022,I.N.P.S. ha ritenuto (impartendo le conseguenti indicazioni ai propri uffici)di escludere dal novero dei beneficiari dell’AAU i cittadini degli Stati nonappartenenti all’Unione Europea che siano in possesso del permesso di soggiornoper attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5d.P.R.394/1999.

Orbene, il messaggio de quo costituisceun atto dell’Istituto volto a fornire alle proprie strutture territoriali unindirizzo interpretativo al fine di rendere uniforme l’applicazione della normaex art. 3 co. 1, lett. a) d.lgs. 230/2021 in tema di requisiti soggettivinecessari ai cittadini degli Stati non appartenenti all’Unione Europea perl’accesso all’AAU.

Quindi non è espressione dipotestà amministrativa, nella specie regolamentare, atteso che la sua portatalatamente normativa (impartendo disposizioni in ordine a un facere,senza però incidere su specifiche situazioni giuridiche soggettive) è ristrettaall’interno dei propri uffici.

I terzi non ne sono vincolati e,come accade per la ricorrente, possono agire in giudizio sulla base diun’interpretazione dell’assetto normativo che prescinda dall’opinione espressadall’I.N.P.S. nel proprio messaggio.

E’ appena il caso di evidenziareche escludere l’efficacia giuridica non significa negare che il messaggio possacondizionare in via di fatto l’agire dei cittadini degli Stati non appartenentiall’Unione Europea che aspirano all’attribuzione dell’AUU, come si è giàampiamente rilevato nell’analizzare l’eccezione, sollevata da I.N.P.S., didifetto della legittimazione attiva di ASGI (paragrafo 3, punto a)).

Quindi l’eventuale accoglimentodella domanda proposta dall’Associazione intervenuta – diretta a ottenere larimozione degli asseriti effetti discriminatori prodotti dalla condotta tenutadall’I.N.P.S., ingenerando, mediante l’interpretazione fornita con i propriatti, un effetto dissuasivo nei confronti dei cittadini degli Stati nonappartenenti all’Unione Europea in possesso del permesso di soggiorno perattesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5d.P.R.394/1999 – consistente nell’emanazione di un ordine di modifica degliatti di natura interpretativa adottati dall’I.N.P.S., si tradurrebbe nellacondanna ad un mero facere civilistico, avendo ad oggetto atti che, comesi è detto, non sono espressione di potestà amministrativa (in particolareregolamentare), di talché non richiederebbero alcun (nuovo) esercizio di potereda parte dell’amministrazione.

Tale ipotesi si distingue,dunque, nettamente da quella, certamente esclusa dalla giurisdizione delgiudice ordinario (CdS, IV, 25.11.2020, n. 7413; CdS, VI, 6.6.2003, n. 3165, diun ordine giudiziale di modifica di un atto dell’amministrazione espressione dipotere amministrativo, la cui ottemperanza comporta, da parte dell’ente,l’adempimento dell’obbligo ad un facere amministrativo, ossia ariesercitare, conformemente a legge e alle statuizioni contenute delprovvedimento giudiziale, il potere autoritativo di cui l’amministrazionedispone.

In ogni caso si rileva che, seanche la circolare I.N.P.S. fosse dotata di efficacia vincolante egeneralizzata propria degli atti amministrativi (in particolare di naturaregolamentare in quanto avente un contenuto normativo), l’eventualeaccoglimento della domanda presentata dall’Associazione intervenutacomporterebbe, da parte del giudice, la mera disapplicazione dell’attoamministrativo e la diretta attuazione della norma di legge, atteso che ilriconoscimento del diritto soggettivo alla percezione dell’AUU scaturirebbedirettamente dalla sussistenza dei presupposti previsti da quella norma dilegge.

5. in ordine al merito

a)

Venendo al merito, alla presentecontroversia sono sottese le seguenti questioni:

 se integri una discriminazione diretta individuale per ragione di nazionalità la condotta con cui l’I.N.P.S hanegato alla ricorrente xxx la corresponsione dell’AUU (da lei richiesto  in relazione aipropri due figli minorenni), ritenendo non rientrasse, tra i requisitisoggettivi richiesti ai cittadini degli Stati non appartenenti all’UnioneEuropea ai fini dell’accesso alla suddetta prestazione, la titolarità del permesso di soggiorno per attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998ed ex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999 (in caso positivo meriterebbe accoglimentola domanda della ricorrente volta a ordinare all’I.N.P.S. la rimozione deglieffetti derivanti dalla discriminazione diretta individuale attraversol’accertamento, in suo favore, del diritto alla corresponsione dell’AUU e lacondanna dell’I.N.P.S. al pagamento, in suo favore, delle prestazioni già maturatea tale titolo);

 se integri una discriminazionediretta collettiva per ragione di nazionalità1 la condotta con cui l’I.N.P.S., medianteil messaggio  n. 2951 del 25/07/2022(doc. 8 ric.), ha ritenuto che: “Non possono invece essere inclusi nellaplatea dei beneficiari i titolari dei seguenti permessi: Attesa occupazione(art. 22 del D.lgs n. 286/1998 e successive modificazioni; art. 37 D.P.R. n.394/1999 e successive modificazioni)”, con conseguente pregiudizioper i cittadini degli Stati non appartenenti all’Unione Europea, che, essendoin possesso del citato permesso di soggiorno in attesa di occupazione, nonhanno presentato domanda di corresponsione dell’AUU perché dissuasidall’orientamento interpretativo espresso dall’Istituto (in caso positivomeriterebbe accoglimento la domanda proposta dall’associazione ricorrente evolta a ordinare all’I.N.P.S. la rimozione degli effetti derivanti dalladiscriminazione diretta collettiva attraverso la modificazione della circolaren. 23/2022, indicando i titolari

 

1 Secondo ASGI si tratterebbeanche di discriminazione indiretta collettiva per ragioni di etnia in quanto: “…  nel contesto nazionale italiano, ove lamaggioranza degli stranieri extra UE proviene da altri continenti nei quali inativi hanno origine etnica diversa da quella indoeuropea (Africa, Asia, SudAmerica: si vedano i dati del rapporto IDOS –Dossier immigrazione reperibili allink [https://www.dosserimmigrazione.iy]  una discriminazione in danno dello straniero (tanto più se dei solistranieri extraUE, come nel caso in esame) costituisce anche unadiscriminazione indiretta per origine etnica, sicché anche sotto questo profilol’associazione interveniente avrebbe comunque legittimazione”.

di permesso di soggiorno perattesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5d.P.R.394/1999 tra gli aventi diritto all’AUU, e la revisione di tutti iprovvedimenti di rigetto adottati nei confronti degli stranieri titolari dipermesso di soggiorno per attesa occupazione).

 

b)

Orbene, al fine della soluzionedelle predette questioni, è opportuno prendere le mosse dall’art. 3 co.1, lett.a) d.lgs. 230/2021, il quale dispone (evidenziazioni dello scrivente):

L'assegno di cui all'articolo1 è riconosciuto a condizione che al momento della presentazione della domandae per tutta la durata del beneficio il richiedente sia in possessocongiuntamente dei seguenti requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno:

a) sia cittadino italiano o diuno Stato membro dell'Unione europea, o suo familiare, titolare del diritto disoggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero sia cittadino di unoStato non appartenente all'Unione europea in possesso del permesso di soggiornoUE per soggiornanti di lungo periodo o sia titolare di permesso unico di lavoroautorizzato a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a seimesi o sia titolare di permesso di soggiorno per motivi di ricercaautorizzato a soggiornare in Italia per un periodo superiore a sei mesi”;

quindi, secondo questadisposizione, il cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europea,affinché possa beneficiare dell’AUU, deve essere in possesso di un “permessodi soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o sia titolare di permessounico di lavoro autorizzato a svolgere un’attività lavorativa per un periodosuperiore a sei mesi”.

Nel caso di specie, la ricorrenteXXX, al momento della presentazione della domanda amministrativa diattribuzione dell’AUU (24.3.2022), risultava titolare di permesso di soggiornoper attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5d.P.R.394/1999.

Appare, dunque, necessariostabilire se la ricorrente fosse autorizzata a svolgere attività lavorativa perun periodo superiore a sei mesi e se detto permesso di soggiorno per attesaoccupazione rientri nella categoria del “permesso unico di lavoro”, checostituisce (accanto al “permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungoperiodo”, di cui la ricorrente, incontestatamente, non è in possesso) iltitolo autorizzativo della presenza in Italia del cittadino di uno Stato nonappartenente all’Unione europea, che gli consente, sussistendone gli altripresupposti, di percepire l’AUU.

A tal fine appare necessarioricostruire il contesto normativo.

L’art. 22 co. 11 d.lgs.25.7.1998, n. 268 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplinadell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”) dispone(evidenziazioni dello scrivente):

La perdita del posto dilavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno allavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti.Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavorosubordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essereiscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità delpermesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso disoggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore ad un annoovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al redditopercepita dal lavoratore straniero, qualora superiore. Decorso iltermine di cui al secondo periodo, trovano applicazione i requisiti redditualidi cui all'articolo 29, comma 3, lettera b)”;

l’art. 37 co. 2, 3, 4 e 5 d.P.R.31.8.1999, n. 394 (“Regolamento recante norme di attuazione del testo unicodelle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sullacondizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decretolegislativo 25 luglio 1998, n. 286), afferente l’ “Iscrizione nelle liste onell'elenco anagrafico finalizzata al collocamento del lavoratore licenziato,dimesso o invalido”) prevede (con la precisazione che il “periodocomplessivo non inferiore a sei mesi” deve intendersi, dopo la modificadell’art. 22 co.11 d.lgs. 2681998 da parte dell’art. 4 co.30 L. 28.6.2012, n.92, quale “periodo complessivo non superiore a un anno”):

2. Quando il licenziamento èdisposto a norma delle leggi in vigore per il licenziamento individuale, ovveroin caso di dimissioni, il datore di lavoro ne dà comunicazione entro 5 giorniallo Sportello unico e al Centro per l'impiego competenti. Lo straniero, seinteressato a far risultare lo stato di disoccupazione, per avvalersi dellaprevisione di cui all'articolo 22, comma 11, del testo unico, deve presentarsi,non oltre il quarantesimo giorno dalla data di cessazione del rapporto dilavoro, presso il Centro per l'impiego e rendere la dichiarazione, di cuiall'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, cosìcome sostituito dal decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, cheattesti l'attività lavorativa precedentemente svolta, nonché l'immediatadisponibilità allo svolgimento di attività lavorativa, esibendo il propriopermesso di soggiorno.

3. Il Centro per l'impiegoprovvede all'inserimento del lavoratore nell'elenco anagrafico, di cuiall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n.442, ovvero provvede all'aggiornamento della posizione del lavoratore qualora giàinserito. Il lavoratore mantiene l'inserimento in tale elenco per il periodo diresidua validità del permesso di soggiorno e, comunque, ad esclusione dellavoratore stagionale, per un periodo complessivo non inferiore a sei mesi.

4. Il Centro per l'impiegonotifica, anche per via telematica, entro 10 giorni, allo Sportello unico ladata di effettuazione dell'inserimento nelle liste di cui al comma 1 ovverodella registrazione dell'immediata disponibilità del lavoratore nell'elencoanagrafico di cui al comma 2, specificando, altresì, le generalità dellavoratore straniero e gli estremi del rispettivo permesso di soggiorno.

5. Quando, a norma delledisposizioni del testo unico e del presente articolo, il lavoratore stranieroha diritto a rimanere nel territorio dello Stato oltre il termine fissato dalpermesso di soggiorno, la questura rinnova il permesso medesimo, previa documentatadomanda dell'interessato, fino a sei mesi dalla data di iscrizione nelleliste di cui al comma 1 ovvero di registrazione nell'elenco di cui al comma 2. Ilrinnovo del permesso è subordinato all'accertamento, anche per via telematica,dell'inserimento dello straniero nelle liste di cui al comma 1 o dellaregistrazione nell'elenco di cui al comma 2. Si osservano le disposizionidell'articolo 36-bis

Da queste disposizioni emergechiaramente che:

 nel caso di perdita temporaneadell’occupazione il cittadino straniero non appartenente ad un Paesedell’Unione Europea non subisce la revoca del permesso di soggiorno per lavorosubordinato, di cui dispone, ma conserva la facoltà di soggiornare regolarmentenel territorio dello Stato per un periodo non inferiore ad un anno ovvero pertutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito da luipercepita, qualora superiore;

 a tal fine egli è onerato apresentarsi, non oltre il quarantesimo giorno dalla data di cessazione delrapporto di lavoro, presso il Centro per l'impiego e a rendere la dichiarazione(ex art. 2 co.1 d.lgs. 21.4.2000, n. 181 ora ex art. 19 co. 1 d.lgs. 14.9.2015,n. 150), che attesti l'attività lavorativa precedentemente svolta, nonchél'immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa, esibendo ilproprio permesso di soggiorno;

 

 qualora il periodo –in cui il cittadinostraniero non appartenente ad un Paese dell’Unione Europea, che ha persol’occupazione, conserva la facoltà di soggiornare regolarmente nel territoriodello Stato – sia superiore al termine finale di validità del permesso disoggiorno per lavoro, di cui è in possesso, egli può richiedere alla questurail rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione;

 tale rilascio – essendosubordinato all’iscrizione nelle liste di collocamento ex art. 4 d.P.R.442/2000, la quale, a sua volta, presuppone il rilascio, da parte dellostraniero disoccupato, della dichiarazione di immediata disponibilità allosvolgimento di attività lavorativa (art. 37 co. 2, secondo periodo d.P.R.394/1999) – non solo consente al cittadino straniero non appartenente ad unPaese dell’Unione Europea di svolgere attività lavorativa, ma, anzi, lo oneradell’immediata disponibilità in tal senso;

 la circolare del Ministerodell’Interno prot. n. 40579 del 3.10.2016 ha precisato che l’art. 22 co.11d.lgs. 268/1998, novellato dall’art. 4 co.1 L. 92/2012, “nel prevedere untermine di validità minima del permesso di soggiorno per attesa occupazione(“un periodo non inferiore a un anno”) non ha posto limiti all’eventualerinnovo del titolo autorizzatorio conferito… per tale motivazione, rendendopossibile, peraltro, da parte dell’interessato, anche il successivo rinnovonella annualità successive alla prima concessione. Per la puntuale attuazionedel dispositivo in esame, le SSLL dovranno, tuttavia, tenere conto delleprevisioni, di carattere generale, sancite nel TUI, all’articolo 5, commi 5, 5bis, 6 e all’articolo 28, ove è prevista, la valutazione del singolo caso,compendiata anche, come noto, dall’esame della relativa inclusione sociale,ancorché siano venuti meno i requisiti del rilascio”; quindi non vi èdubbio che il permesso per attesa occupazione sia un titolo che autorizza losvolgimento di un’attività lavorativa per almeno un anno a decorreredall’iscrizione nelle liste di collocamento; anzi, lo scopo, per il quale vienerilasciato, è proprio quello di consentire al cittadino straniero disoggiornare regolarmente sul territorio dello Stato al fine di reperire unanuova occupazione che gli consenta di ottenere il rilascio di un nuovo permessodi lavoro.

 

Accertata la sussistenzadell’autorizzazione “a svolgere un’attività lavorativa per un periodosuperiore a sei mesi”, come richiesto dall’art. 3 co. 1, lett. a) d.lgs.230/2021, occorre stabilire se, come pure esige la medesima norma ai finidell’accesso, da parte di cittadino di uno Stato non appartenente all’Unioneeuropea, alla prestazione dell’AUU, il permesso per attesa occupazione ex art.22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co.5 d.P.R. 394/1999 possa esserequalificato come “permesso unico lavoro”.

A tal fine assumono rilievo ledisposizioni di cui all’art. 5, commi 8.1 e 8.2 d.lgs. 286/1998;

la prima prescrive che: “Nelpermesso di soggiorno che autorizza l'esercizio di attività lavorativa secondole norme del presente testo unico e del regolamento di attuazione è inserita ladicitura: "perm. Unico lavoro";

il successivo comma 8.2 prevede:“La disposizione di cui al comma 8.1 non si applica:

a) agli stranieri di cui agliarticoli 9 e 9-ter;

b) agli stranieri di cuiall'articolo 24;

c) agli stranieri di cuiall'articolo 26;

d) agli stranieri di cuiall'articolo 27, comma 1, lettere a), g), h), i) e r);

e) agli stranieri chesoggiornano a titolo di protezione temporanea e nei casi di cui agli articoli18, 18-bis, 20-bis, 22, comma 12-quater, e del permesso di soggiorno rilasciatoai sensi dell'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008,

n. 25, ovvero hanno richiestoil permesso di soggiorno a tale titolo e sono in attesa di una decisione sutale richiesta;

f) agli stranieri chesoggiornano a titolo di protezione internazionale come definita del decretolegislativo 19 novembre 2007, n. 251, hanno chiesto il riconoscimento dellaprotezione e sono in attesa di una decisione su tale richiesta;

g) agli stranieri chesoggiornano per motivi di studio o formazione.

g-bis) agli stranieri di cuiall'articolo 42-bis”.

La norma elenca i permessi che,pur consentendo l’esercizio di attività lavorativa, non rientrano nel tipo “permessounico lavoro”.

Come si evince agevolmente, tra ipermessi esclusi da questo tipo non viene annoverato il permesso per attesaoccupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co.5 d.P.R.347/1999, il quale, quindi, al fine di mantenere una coerenza internaall’ordinamento, non può che essere qualificato come “permesso unico lavoro”.

In questo senso si è orientataanche la prassi amministrativa; infatti, come ha allegato parte ricorrente,senza che l’I.N.P.S. abbia sollevato contestazioni, il Ministero dell’Interno,sulle tessere plastificate dei permessi di soggiorno per attesa di occupazione,riporta anche l’indicazione “perm. unico lavoro” (doc. 6 e 10 fasc.ric.).

In definitiva può considerarsicompiutamente accertato, già alla luce di un esame dell’ordinamento interno,che il permesso per attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed exart. 37 co.5 d.P.R. 347/1999, di cui disponeva la ricorrente, rientri nel tipo“permesso unico lavoro” che consente di soggiornare regolarmente sulterritorio italiano e di svolgere un’attività lavorativa per un periodosuperiore a sei mesi, costituendo così un idoneo requisito soggettivo affinchéil cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea possa accederealla fruizione dell’AUU (art. 3 co.1, lett. a) d.lgs. 230/2021).

c)

In aggiunta a ciò occorreosservare come una diversa soluzione interpretativa si porrebbe in contrastocon il diritto eurounitario, in particolare con la direttiva 2011/98/UE (“relativaa una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico checonsente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territoriodi uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesiterzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro”).

Al considerandum 19 taledirettiva individua, tra le proprie finalità, quelle di “di sviluppareulteriormente una politica di immigrazione coerente, di ridurre la disparità didiritti tra i cittadini dell’Unione e i cittadini di paesi terzi che lavoranoregolarmente in uno Stato membro e di integrare l’acquis esistente in materiadi immigrazione”;

il successivo considerandum afferma:“Tutti i cittadini di paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmentenegli Stati membri dovrebbero beneficiare quanto meno di uno stesso insiemecomune di diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini delloStato membro ospitante, a prescindere dal fine iniziale o dal motivodell’ammissione. Il diritto alla parità di trattamento nei settori specificatidalla presente direttiva dovrebbe essere riconosciuto non solo ai cittadini dipaesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi, maanche a coloro che sono stati ammessi per altri motivi e che hanno ottenutol’accesso al mercato del lavoro di quello Stato membro in conformità di altredisposizioni del diritto dell’Unione o nazionale, compresi i familiari di unlavoratore di un paese terzo che sono ammessi nello Stato membro in conformitàdella direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa aldiritto al ricongiungimento familiare, i cittadini di paesi terzi che sonoammessi nel territorio di uno Stato membro in conformità della direttiva2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni diammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio dialunni, tirocinio non retribuito o volontariato, e i ricercatori ammessi inconformità della direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005,relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadinidi paesi terzi a fini di ricerca scientifica”.

Nel caso di specie assume rilievosoprattutto il principio alla parità di trattamento, sancito dall’ art. 12,paragrafo 1, lett. e) della direttiva, secondo cui (evidenziazioni delloscrivente):

I lavoratori dei paesi terzidi cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b e c) [ vale a dire: “b) …cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a finidiversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale,ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso disoggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002; c)… i cittadini dipaesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi anorma del diritto dell’Unione o nazionale], beneficiano dellostesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornanoper quanto concerne: […] e) i settori della sicurezza socialedefiniti nel regolamento (CE) n. 883/2004”.

Le uniche deroghe possibili atale principio vengono individuate al secondo comma della disposizione che cosìprevede (evidenziazioni dello scrivente):

“2. Gli Stati membri possonolimitare la parità di trattamento: […] b) limitando i diritti conferiti ailavoratori di paesi terzi ai sensi del paragrafo 1, lettera e), senzarestringerli per i lavoratori di paesi terzi che svolgono o hanno svoltoun’attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono registrati comedisoccupati.

Inoltre, gli Stati membripossono decidere che il paragrafo 1, lettera e), per quanto concerne i sussidifamiliari, non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono statiautorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo nonsuperiore a sei mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi ascopo di studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare inforza di un visto”.

La norma vieta, dunque, agliStati membri di adottare o mantenere nel proprio ordinamento disposizioninormative che comportino una disparità di trattamento nei “settori dellasicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004”, tra cittadinidi paesi terzi non appartenenti all’Unione Europea che sono stati autorizzati alavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo superiore a seimesi, e cittadini dell’Unione Europea,

Alla luce di quanto statuito subb) la ricorrente – essendo titolare di un permesso (quello perattesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co.5 d.P.R.347/1999), che rientra nel tipo “permesso unico lavoro” e che consentedi soggiornare regolarmente sul territorio italiano e di svolgere un’attivitàlavorativa per un periodo superiore a sei mesi – rientra tra i cittadini deiPaesi terzi non appartenenti all’Unione Europea che, ai sensi dell’art. 3,paragrafo 1, lett. a) (come ha puntualmente osservato la sua difesa ella hafatto ingresso sul territorio nazionale per motivi lavorativi ed haconcretamente lavorato, non essendo previsto dall’ordinamento italiano il primopermesso rilasciato all’atto dell’ingresso sia un permesso per attesaoccupazione) e dell’ art. 12 della direttiva 2011/98 UE, hanno diritto allaparità di trattamento in taluni settori, rispetto ai cittadini dello Statomembro in cui soggiornano.

E’ indubbio che la provvidenzaconsistente nell’AUU ex d.lgs. 230/2021 costituisce una prestazione di sostegnoalla famiglia erogata sulla base di requisiti predeterminati e, dunque, rientranel Regolamento 883/04. In questo senso si è già espressa la Corte di giustizia(sentenza del 21 giugno 2017, Kerly Del Rosario Martinez, C-419/16, EU:C:2017:485),in relazione all’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori exart. 65 L. 23.12.1998, n. 448, il quale (al pari di quanto ora accade all’AAU -in particolare articoli 1, 2, 4 e 5) , era concessa o negata in considerazionedel numero dei figli e dei redditi e, quindi, era attribuita ai beneficiariprescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loroesigenze personali, in base a una situazione definita per legge, e perciòrappresentava una prestazione di sicurezza sociale, riconducibile alle “prestazionifamiliari” di cui all’art. 3, paragrafo 1, lett. j) Reg. 883/04. comedefinite dall’art. 1, lett. z) stesse Reg. quale prestazione “in natura o indenaro destinata a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipisugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozionemenzionati nell’allegato I”.

E’ vero che il legislatoreitaliano si è avvalso della limitata facoltà di deroga al principio dellaparità di trattamento riconosciuta agli Stati membri all’art. 12, paragrafo 2,lett b) della direttiva 2011/98/UE, disponendo al successivo comma 1-ter:“In deroga a quanto previsto dal comma 1-bis, nell'ambito delle prestazionicostituenti diritti, ai fini della fruizione delle prestazioni familiari di cuiall'articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamentoeuropeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sono equiparati ai cittadiniitaliani esclusivamente gli stranieri titolari di permesso unico di lavoroautorizzati a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a seimesi, nonché' gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi diricerca autorizzati a soggiornare in Italia per un periodo superiore a seimesi”.

Si tratta, tuttavia, diun’ipotesi alla quale non risulta riconducibile il caso di specie, atteso chela ricorrente era certamente autorizzata allo svolgimento di attivitàlavorativa per un periodo superiore a sei mesi, essendo stata titolare,dapprima di permesso di soggiorno per lavoro subordinato e successivamente dipermesso per attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37co. 5 d.P.R.394/1999, a far data dal 24.6.2021, fino al 26.9.2022 (doc. 6ric.), poi rinnovato fino al 26.9.2023 (doc. 6.1 ric.).

Quindi nella vicenda in esametrova applicazione il principio ex art. 12, paragrafo 1, lett. e) delladirettiva 2011/98/UE di parità di trattamento, nei settori della sicurezzasociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004, tra i lavoratori dei paesiterzi autorizzati a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore asei mesi e i cittadini dello Stato membro in cui soggiornano.

In definitiva una norma internache negasse, dunque, ai cittadini degli Stati non appartenenti all’UnioneEuropea titolari di permesso per attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs.286/1998 ed ex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999 – il quale, come si è più soprastatuito, costituisce un titolo autorizzativo del soggiorno sul territorionazionale, che rientra nel tipo “permesso unico di lavoro” e consente alcittadino straniero non appartenente ad un Paese dell’Unione Europea disvolgere attività lavorativa, per almeno un anno a decorrere dall’iscrizionenelle liste di collocamento – l’accesso alla prestazione familiare consistentenell’AUU, si porrebbe in palese contrasto con il diritto dell’Unione Europea.

Di conseguenza, il giudicenazionale sarebbe tenuto in primo luogo – secondo gli insegnamenti della Cortedi giustizia (ex multis, di recente, sentenza del 4 maggio 2023, T.A.C.,C-40/21, EU:C:2023: 367, punto 71; in precedenza sentenza dell’8 maggio 2019, ZwiązekGmin Zagłębia Miedziowego, C-566/17, EU:C:2019:390, punti 48 e 49, nonchédel 4 marzo 2020, Telecom Italia, C-34/19, EU:C:2020:148, punto 60) – atentare, se possibile ossia senza cadere in operazioni ermeneutiche contralegem, di interpretare il diritto nazionale in modo conforme al dirittodell’Unione.

In caso contrario dovrebbe odisapplicare la norma interna e applicare la disciplina europea di cui alladirettiva se sufficientemente precisa e incondizionata, o a sollevare questionedi legittimità costituzionale se non direttamente applicabile. Infatti, inproposito, con l’ordinanza n. 207 del 2013 (conf. più di recente sentenza n. 67del 2022), la Corte costituzionale ha ribadito: “Conformemente ai principiaffermati dalla sentenza della Corte di giustizia 9 marzo 1978, in causaC-106/77 (Simmenthal), e dalla successiva giurisprudenza di questa Corte,segnatamente con la sentenza n. 170 del 1984 (Granital), qualora si tratti didisposizione del diritto dell’Unione europea direttamente efficace, spetta algiudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della normativainterna censurata, utilizzando – se del caso – il rinvio pregiudiziale allaCorte di giustizia, e nell’ipotesi di contrasto provvedere egli stessoall’applicazione della norma comunitaria in luogo della norma nazionale;mentre, in caso di contrasto con una norma comunitaria priva di efficaciadiretta – contrasto accertato eventualmente mediante ricorso alla Corte digiustizia – e nell’impossibilità di risolvere il contrasto in viainterpretativa, il giudice nazionale deve sollevare la questione di legittimitàcostituzionale, spettando poi a questa Corte valutare l’esistenza di uncontrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la leggeincompatibile con il diritto comunitario (nello stesso senso, Corte cost. n.284 del 2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75 del 2012)”.

La stessa Consulta, nellasentenza n. 67 del 2022, ha statuito che “all’art. 12, paragrafo 1, letterae), della direttiva 2011/98/UE, deve riconoscersi effetto diretto nella partein cui prescrivono l'obbligo di parità di trattamento tra le categorie dicittadini di paesi terzi individuate dalle medesime direttive e i cittadinidello Stato membro in cui costoro soggiornano”, precisando che: “Sitratta di un obbligo cui corrisponde il diritto del cittadino di paese terzo-rispettivamente titolare di permesso di lungo soggiorno e titolare di unpermesso unico di soggiorno e di lavoro - a ricevere le prestazioni socialialle stesse condizioni previste per i cittadini dello Stato membro. La tutelariconosciuta al diritto in questione e la sua azionabilità richiamano lecondizioni che la costante giurisprudenza della Corte di giustizia individuaper affermare l'efficacia diretta delle disposizioni su cui tali diritti sifondano (a partire dalla sentenza 19 novembre 1991, in cause riunite C-6/90 eC-9/90, F.)”.

Tuttavia la norma nazionale exart. 3 co. 1, lett. a) d.lgs. 230/2021, che viene in rilievo nella vicenda inesame, concernendo i requisiti soggettivi per l’accesso alla fruizione dell’AUU, si presta senza dubbio a un’ interpretazione eurounitariamente orientatanel senso di ritenere ricompresi tra i cittadini di uno Stato non appartenentiall’Unione Europea titolari di permesso unico di lavoro autorizzati a svolgereun’attività lavorativa per un periodo di sei mesi anche i possessori dipermesso di soggiorno per attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998ed ex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999 – il quale, è opportuno ribadirlo,costituisce un titolo autorizzativo del soggiorno sul territorio nazionale, cherientra nel tipo “permesso unico di lavoro” e consente al cittadinostraniero non appartenente ad un Paese dell’Unione Europea di svolgere attivitàlavorativa, per almeno un anno a decorrere dall’iscrizione nelle liste dicollocamento.

Solo una siffatta interpretazionepuò, infatti, ritenersi conforme al principio di parità di trattamento ex art.12 della direttiva 2011/98/UE.

- - -

In definitiva –

premesso che:

 l’art. 43 co.1 d.lgs. 286/1998dispone: “Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ognicomportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione,esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore,l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratichereligiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettereil riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, deidiritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico,sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”;

 alla luce dell’art. 2 co.1,lett. a) d.lgs. 216/2003 (“Attuazione della direttiva 2000/78/CE per laparità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro edella direttiva n. 2014/54/UE relativa alle misure intese ad agevolarel'esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della liberacircolazione dei lavoratori”) la discriminazione diretta ricorre “quando…  per nazionalità, una persona è trattata menofavorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in unasituazione analoga” –

 

deve ritenersi compiutamenteaccertato che:

1)

integra una discriminazionediretta individuale la condotta con cui l’I.N.P.S ha negato alla ricorrente XXXla corresponsione dell’AUU (da lei domandato in relazione ai propri due figliminorenni), ritenendo non rientrasse, tra i requisiti soggettivi idonei aconsentire al cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europeal’accesso alla suddetta prestazione, la titolarità del permesso di soggiornoper attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5d.P.R.394/1999:

quindi merita accoglimento anchela domanda di parte ricorrente volta a ordinare all’I.N.P.S. la rimozione deglieffetti derivanti dalla discriminazione diretta individuale attraverso:

 l’accertamento, in favore dellaricorrente, del diritto alla corresponsione dell’AUU dalla data dipresentazione della domanda in sede amministrativa (24.3.2022) fino allapersistenza dei relativi requisiti, con le maggiorazioni ex art. 16 co. 6 L.412/1991,

 la condanna dell’I.N.P.S. alpagamento, in suo favore, delle prestazioni già maturate a tale titolo e nonancora erogate,

 l’accertamentodell’insussistenza dell’indebito di € 2.450,00, d cui I.N.P.S. ha chiesto laripetizione con lettera del 20.2.2023;

 

2)

integra una discriminazionediretta collettiva la condotta con cui l’I.N.P.S., mediante il messaggio n.2951 del 25/07/2022 (doc. 8 ric.), ha ritenuto che: “Non possono inveceessere inclusi nella platea dei beneficiari i titolari dei seguenti permessi:Attesa occupazione (art. 22 del D.lgs n. 286/1998 e successive modificazioni;art. 37 D.P.R. n. 394/1999 e successive modificazioni)”, conconseguente pregiudizio per i cittadini degli Stati non appartenenti all’UnioneEuropea che, essendo in possesso del citato permesso di soggiorno in attesa dioccupazione, non hanno presentato domanda di corresponsione dell’AUU perchédissuasi dall’orientamento interpretativo espresso dall’Istituto;

quindi merita accoglimento anchela domanda proposta da ASGI e volta a ordinare all’I.N.P.S. la rimozione deglieffetti derivanti dalla discriminazione diretta collettiva attraverso:

 la modificazione dellacircolare n. 23/2022, indicando i titolari di permesso di soggiorno per attesaoccupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999tra gli aventi diritto all’AUU,

 la pubblicità di talemodificazione attraverso l’inserimento di uno specifico avviso sulla homepage del sito istituzionale, per un minimo di giorni 60

 la revisione di tutti iprovvedimenti di rigetto adottati nei confronti degli stranieri titolari dipermesso di soggiorno per attesa occupazione.

Non apparendo manifestamenteiniqua, è fondata anche la domanda, proposta da ASGI nei confronti di I.N.P.S.,di condanna ex art. 614-bis cod.proc.civ. al pagamento, in suo favore,della somma di € 50,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordinedi rimozione degli effetti derivanti dalla discriminazione diretta collettiva,limitatamente alla modificazione della circolare n. 23/2022 e alla pubblicitàdi tale modificazione, con decorrenza dal centoventesimo giorno successivo alladata odierna.

5. in ordine alle spese

In applicazione del principiodella soccombenza, le spese devono essere poste a carico dell’I.N.P.S., condistrazione in favore dei difensori della ricorrente che si sono dichiaratiantistatari ai sensi dell’art. 93 co.1 cod.proc.civ..

P.Q.M.

Il tribunale ordinario di Trento– sezione per le controversie di lavoro, in persona del giudice istruttore, infunzione di giudice unico, dott. Giorgio Flaim, definitivamente pronunciando,così decide:

1. Rigetta l’eccezione, sollevatada I.N.P.S.,di inammissibilità del ricorso ex art. 702 cod.proc.civ..

2. Rigetta l’eccezione, sollevatada I.N.P.S.,di inammissibilità dell’azione civile contro la discriminazione exart. 28 d.lgs. 1.9.2011, n. 150.

3. Rigetta l’eccezione, sollevatada I.N.P.S.,di difetto di legittimazione ad agire dell’intervenuta ASSOCIAZIONEPER GLI STUDI GIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE – ASGI.

4. Rigetta l’eccezione, sollevatada I.N.P.S.,di difetto di giurisdizione in punto domanda di modificazione dellacircolare n. 23 del 9.2.2022.

5. Accerta che integra unadiscriminazione diretta individuale la condotta con cui l’I.N.P.S ha negatoalla ricorrente XXX la corresponsione dell’assegno unico universale ex d.lgs.29.12.2021, n. 230 (da lei domandato  inrelazione ai propri due figli minorenni), ritenendo non rientrasse,  tra i requisiti soggettivi richiesti alcittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europea ai fini dell’accessoalla suddetta prestazione, la titolarità del permesso di soggiorno per attesaoccupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 25.7.1998, n. 286 ed ex art. 37 co. 5d.P.R. 31.8.1999, n. 394.

6. Ordina all’I.N.P.S. dirimuovere gli effetti derivanti dalla suddetta discriminazione direttaindividuale attraverso:

 l’accertamento, in favore dellaricorrente, del diritto alla corresponsione dell’AUU dalla data dipresentazione della domanda in sede amministrativa (24.3.2022) fino allapersistenza dei relativi requisiti,

 la condanna dell’I.N.P.S. alpagamento, in favore della ricorrente, delle prestazioni già maturate a taletitolo e non ancora erogate, con gli interessi legali decorrenti dal 121°giorno successivo a quelli di maturazione dei crediti fino al saldo e con ilmaggior danno da svalutazione, liquidato sulla base della differenza tra lavariazione percentuale degli indici ISTAT, intervenuta dagli stessi termini aquibus finoad oggi, ed il saggio legale degli interessi.

 l’accertamentodell’insussistenza dell’indebito di € 2.450,00, d cui I.N.P.S. ha chiesto laripetizione con lettera del 20.2.2023.

7. Accerta che integra unadiscriminazione diretta collettiva la condotta con cui l’I.N.P.S., mediante ilmessaggio  n. 2951 del 25/07/2022, , haritenuto che: “Non possono invece essere inclusi nella platea deibeneficiari i titolari dei seguenti permessi: Attesa occupazione (art. 22 delD.lgs n. 286/1998 e successive modificazioni; art. 37 D.P.R. n. 394/1999 esuccessive modificazioni)”, con conseguente pregiudizio per icittadini degli Stati non appartenenti all’Unione Europea, i quali, essendo inpossesso del citato permesso di soggiorno in attesa di occupazione, non hannopresentato domanda di corresponsione dell’AUU perché dissuasi dall’orientamentointerpretativo espresso dall’Istituto.

8. Ordina all’I.N.P.S. dirimuovere gli effetti derivanti dalla suddetta discriminazione direttacollettiva attraverso:

 la modificazione dellacircolare n. 23/2022, indicando i titolari di permesso di soggiorno per attesaoccupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999tra gli aventi diritto all’AUU,

 la pubblicità di talemodificazione attraverso l’inserimento di uno specifico avviso sulla homepage del sito istituzionale, per un minimo di giorni sessanta,

 alla revisione di tutti iprovvedimenti di rigetto adottati nei confronti degli stranieri titolari dipermesso di soggiorno per attesa occupazione,

 al pagamento in favore dell’ASSOCIAZIONEPER GLI STUDI GIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE - ASGI della somma di € 50,00 perogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di rimozione degli effettiderivanti dalla discriminazione diretta collettiva, limitatamente allamodificazione della circolare n. 23/2022 e alla pubblicità di talemodificazione, con decorrenza dal centoventesimo giorno successivo alla dataodierna.

9. Condanna I.N.P.S. allarifusione, in favore dei ricorrenti, delle spese di giudizio, liquidate nellasomma di € 4.000,00, maggiorata del 15% per spese forfettarie ex art. 2 co.2d.m. 10.3.2014, n. 55, oltre ad IVA e CNPA, con distrazione in favore degliavvocati Giovanni Guarini e Alberto Guariso, che si sono dichiarati antistatariai sensi dell’art. 93 co.1 cod.proc.civ..

Trento, 19 settembre 2023

IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO                                   IL GIUDICE

dott. Andrea Tabarelli                                                   dott.Giorgio Flaim

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