Condotta antisindacale e licenziamenti collettivi

Tribunale di Trento Sezione Lavoro Decreto 30/6/2023 Giudice Dott.ssa Giuseppina Passarelli
Sentenza in sintesi:
E' antisindacale per violazione del dovere di comunicazione preventiva il comportamento del datore di lavoro  che nell'effettuare le comunicazioni obbligatorie alle OO.SS. prima di procedere ai licenziamenti collettivi vanifica la possibilità ricorrere a strumenti alternativi e lascia uno spatium deliberandi alle OO.SS. del tutto incongruo (15 giorni).
testo della sentenza:

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TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO

SEZIONE CONTENZIOSO IN MATERIA LAVORO

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Il Tribunale ordinario di Trento, Sezione Lavoro, in composizione monocratica, nella persona del Giudice, Dott.ssa Giuseppina Passarelli, con provvedimento a scioglimento di riserva, ha pronunciato il seguente

DECRETO

nella causa di cui al n. 459/2022 R.G.A.C. pendente

TRA

FILCAMS CGIL DEL TRENTINO (C.F. 96052090220), in persona del segretario/legale rappresentante p.t. Paola Bassetti; FISASCAT CISL DEL TRENTINO (C.F. 80016690226), in persona del segretario/legale rappresentante p.t. e UILTUCS UIL del Trentino Alto Adige Südtirol (C.F. 94125000219) in persona del segretario/legale rappresentante p.t., assistiti e difesi dagli Avv.ti Alberto Ghidoni, Laura Bianchi, Giordano Stella, Alessio Giovanazzi, Federico Fior, ed elettivamente presso lo Studio legale dell’Avv. Federico Fior, sito in Trento, in via Giuseppe Grazioli n. 100, come da procura allegata al ricorso introduttivo,

- Ricorrenti -

NEI CONFRONTI DI

XXX in persona del legale rappresentante e Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Filippo Valcanover ed elettivamente domiciliato nel Suo Studio legale sito in Trento, in Via Grazioli n. 31, giusta delega in calce alla memoria difensiva e di costituzione;

- Resistente –

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OGGETTO: procedimento ex art. 28 della l. n. 300 del 1970, avente ad oggetto l’accertamento della condotta antisindacale.

OSSERVA

1. Con ricorso ex art. 28 della l. n. 300/1970, le parti ricorrenti hanno sostenuto:

- che, la vicenda trae origine dalla decisione della resistente di avviare la procedura di licenziamento collettivo ex art. 24 della l. n. 223/1991 per 75 lavoratori dell’area magazzini, su un totale di 92;

- che, la resistente si è sempre opposta al confronto con le Sigle sindacali, ponendo in essere condotte elusive del loro ruolo di tutela dei lavoratori;

- che, già prima dell’avvio del licenziamento, la resistente aveva sottoposto ai lavoratori interessati dall’esubero, la cessione del contratto di lavoro alla futura appaltatrice YYY e la medesima proposta è stata ribadita anche nel corso della procedura di licenziamento collettivo;

- che, a Settembre 2022, a seguito della chiusura della procedura e dell’impugnazione dei licenziamenti, tramite una comunicazione congiunta, XXX e YYY hanno proposto direttamente ai lavoratori la cessione del contratto senza soluzione di continuità, previa revoca dei licenziamenti;

- che, nel caso di specie, si ritiene la potenziale configurazione di un trasferimento di ramo di azienda ai sensi dell’art. 2112, c. 6, c.c.;

- che, difatti, nella comunicazione di avvio della procedura, XXX ha affermato che la riorganizzazione tramite esternalizzazione avrebbe riguardato il core business aziendale (ossia, l’approvvigionamento e la distribuzione delle merci all’interno dei magazzini), il cd. “magazzino centrale”, costituente un ramo d’azienda, che era già in parte gestito, tramite appalto di servizi, da YYY;

- che, l’esternalizzazione avrebbe riguardato i soli profili riconducibili alle mansioni e alla figura di “magazziniere”; mentre gli altri 17 addetti al ramo, non interessati dall’esubero, costituirebbero la cd. “regia del magazzino”, che XXX ha inteso mantenere;

- che, nelle comunicazioni di XXX, si precisa che i lavoratori ceduti avrebbero svolto “lo stesso lavoro di oggi” e “presso la stessa sede di oggi ossia nello stabilimento di Via Innsbruck”;

- che, le scelte aziendali di esternalizzazione, per definizione, riguardano solitamente attività accessorie e strumentali, non il core business aziendale;

- che, la falsa/omessa rappresentazione, nonché la genericità/incompletezza e contraddittorietà delle comunicazioni di avvio della procedura ex art. 1 della l. n. 234/1991, hanno di fatto impedito alle OO.SS. di esercitare il loro ruolo di tutela dei lavoratori;

- che, anche l’offerta di cessione del contratto ha comportato una lesione delle prerogative sindacali: in particolare, il fatto che il termine per prestare il consenso alla cessione fosse fissato entro 17 giorni dall’inizio della procedura ha comportato un’anticipazione rispetto alle tempistiche della stessa; inoltre, la disponibilità alla cessione dell’appaltatrice è stata ventilata ma, non essendo mai stato esibito il contratto d’appalto, alle OO.SS. è stato impedito di compiere qualsiasi valutazione in merito;

- che, nel caso di specie, le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 3 CCNL Terziario, dal momento che SAIT non ha mai fornito alle OOSS alcuna

analitica e specifica indicazione, nei mesi antecedenti all’avvio del procedimento di licenziamento collettivo;

- che, le informazioni di cui all’art. 3, dovendo essere orientate all’effettivo confronto prescritto dall’art. 4 del d.lgs. n. 25 del 2007, devono essere, anche sul piano documentale, effettive, analitiche e trasparenti, come prescrive anche il punto 10 dell’art. 2 e che, ai sensi dell’art. 5, c. 2 del d.lgs. n. 25/2007, il datore di lavoro è obbligato a comunicare alle rappresentanze sindacali tutte le informazioni, anche documentali, rilevanti e opportune per un adeguato confronto;

- che, il rispetto degli obblighi di informazione e consultazione di cui all’art. 3 del CCNL e del d.lgs. n. 25/2007 è distinto e ulteriore rispetto agli obblighi previsti in punto di trasferimento d’azienda e licenziamento collettivo dagli artt. 47 della l. n. 428/1990 e della l. n. 223/1991, come chiaramente disposto dall’art. 8, c. 1, d.lgs. n. 25/2007;

- che, ricorre, inoltre, la violazione dei diritti di informazione e di consultazione di cui alla l. n. 223/1991, che prevede una disciplina specifica per i licenziamenti collettivi, il cui carattere è inderogabile. In particolare, il procedimento di cui agli art. 4 e 24 della l. n. 223/1991 per la dichiarazione di mobilità prevede l’invio di una comunicazione scritta alle OO.SS., con l’indicazione delle motivazioni che hanno determinato l’eccedenza di personale;

- che, l’operazione di asserita esternalizzazione avrebbe integrato, gli estremi della fattispecie di trasferimento di ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112, c. 6 c.c. e, pertanto, la resistente avrebbe dovuto osservare la procedura di confronto prescritta dall’art. 47 della l. n. 428/1990;

- che, la comunicazione di avvio della procedura, ai sensi del comma 1, avrebbe dovuto analiticamente specificare, almeno 25 giorni prima della preventivata operazione negoziale: la data del trasferimento; i motivi del programmato trasferimento; le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; le eventuali misure previste in favore di questi ultimi;

- che, la condotta della resistente ha cagionato alle ricorrenti un danno all’immagine e alla reputazione, determinato dalla evidente lesione della funzione e del ruolo dei sindacati.

Sulla scorta di tali assunti, le parti ricorrenti hanno chiesto al Tribunale quanto di seguito testualmente riportato:

“1. Accertare e dichiarare l’antisindacalità del comportamento posto in essere dalla Cooperativa resistente, consistito anche nella specifica violazione degli obblighi di cui all’art. 3 CCNL Terziario Commercio, artt. 4 e 24 l. n. 223/1991 o art. 47 l. n. 428/1990, per le ragioni di cui in atti;

2. accertare e dichiarare il danno all’immagine subito dalle OO.SS. ricorrenti, consistito nel disconoscimento del ruolo delle medesime, conseguentemente, ordinare la cessazione delle condotte di cui ai punti precedenti e, comunque, in via di rimozione degli effetti,

3. accertare la nullità e/o inefficacia e/o illegittimità della procedura di licenziamento collettivo avviata con lettera del 13 giugno 2022 e dei conseguenti licenziamenti intimati con lettere datate 27 agosto 2022, ordinando alla Cooperativa resistente, in persona del

legale rappresentante pro tempore, di reintegrare i lavoratori nel posto di lavoro, alle medesime condizioni contrattuali riconosciute in precedenza;

4. ordinare alla Cooperativa resistente, in persona del legale rappresentante pro tempore, di revocare la procedura di licenziamento collettivo e i conseguenti licenziamenti intimati, nonché di adempiere, fornendo ogni informazione utile e dettagliata prevista, previamente, dall’art. 3 CCNL applicato e, successivamente e nel caso, dagli artt. 4 e 24 l. n. 223/1991 e/o art. 47 l. n. 428/1990, avviando il confronto con le OO.SS. ricorrenti;

5. ordinare alla Cooperativa resistente, in persona del legale rappresentante pro tempore, la pubblicazione del decreto emesso relativamente al presente procedimento sul quotidiano ‘Il Corriere della sera” e/o “La Repubblica” e, quanto alla stampa locale, sul quotidiano “L’Adige” e/o “Il Corriere del Trentino”, a spese della stessa società;

6. condannare la Cooperativa resistente, in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento del danno non patrimoniale, da liquidarsi, in via equitativa, nella misura di 30.000,00 euro (o nella diversa misura ritenuta di giustizia), per ogni O.S. ricorrente;

7. con vittoria di spese e compensi professionali, oltre al 15% rimborso spese forfettarie ex art. 2, comma 2 D.M. n. 55/2014, oltre CPA e IVA come per legge.”

2. Si è costituita in giudizio XXX, Società Cooperativa, in p.l.r.p.t., la quale ha eccepito:

- che, non risulta provata una somministrazione irregolare di manodopera e che le doglianze inerenti alla presunta interposizione della stessa, così come quelle relative all’asserito pregiudizio di tipo sindacale, sono del tutto carenti nella prova e nella allegazione;

- che, le ricorrenti non hanno allegato alcunché in merito alle concrete modalità di esecuzione dell’appalto, con particolare riferimento al soggetto titolare dei poteri di direzione, organizzazione e controllo del personale dell’appaltatore;

- che, le doglianze avversarie relativa alla violazione dell’art. 3 CCNL Terziario Commercio sono infondate, poiché il termine ivi previsto non è perentorio e, in ogni caso, le informazioni devono essere fornite nell’ambito di incontri sindacali da effettuarsi su richiesta delle parti, non su iniziativa spontanea ed unilaterale del datore di lavoro;

- che, l’art. 5 del d.lgs. n. 25/2007 prevede che “Il datore di lavoro non è obbligato a procedere a consultazioni o a comunicare informazioni che, per comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive siano di natura tale da creare notevoli difficoltà al funzionamento dell'impresa o da arrecarle danno”;

- che, agli atti non risulta che le ricorrenti, prima di ricevere la comunicazione di avvio della procedura di licenziamento ex l. n. 223/1991, abbiano formulato qualche istanza di incontro verso la convenuta, come invece espressamente previsto dall’art. 3 CCNL;

- che, XXX ha puntualmente informato i Sindacati delle decisioni che sarebbero state prese sull’organizzazione dei magazzini, delle conseguenze sul piano occupazionale e delle possibili alternative al licenziamento e che devono ritenersi infondate le avverse doglianze inerenti alla presunta violazione degli artt. 4 e 24 della l. n. 223/1992;

- che, la convenuta ha ampiamente descritto, nella comunicazione di avvio, tutti gli elementi e le ragioni previsti dagli artt. 4 e 24 della l. n. 223/1991, andando oltre il dettato normativo;

- che, è del tutto irrilevante che i sindacati non abbiano visionato il contratto d’appalto de quo, sia perché ne sono stati descritti i contenuti e le conseguenze sul piano occupazionale, sia perché, a norma dell’art. 1655 c.c., per la conclusione di un contratto d’appalto non è prevista necessariamente la forma scritta. Infatti, lo stesso art. 4 della l. n. 223/1991 prevede che ai Sindacati debbano essere fornite le ragioni e le informazioni, non la documentazione aziendale;

- che, inoltre, tali censure attengono al merito di decisioni imprenditoriali, che non possono essere sindacate dal Giudice (si v. Cass. civ. n. 21300/2006; Cass. civ. n. 8364/2004; Cass. civ. n. 6385/2003; Trib. Roma n. 1573/2019);

- che, si eccepisce altresì la carenza di legittimazione ad agire da parte delle ricorrenti in relazione alle domande volte all’impugnazione dei licenziamenti intimati in esito alla procedura di licenziamento collettivo ed alla revoca degli stessi, dal momento che l’eventuale accertamento della condotta antisindacale non può avere efficacia ripristinatoria;

- che, in ordine alla presunta sussistenza di una cessione di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., si nota che una siffatta domanda è suscettibile di spiegare automaticamente i suoi effetti anche verso YYY, per la quale si formula istanza di chiamata di terzo;

- che, le sole attività di movimentazione merci, in assenza della necessaria integrazione di tutte le attività e dei relativi servizi che sono rimasti in seno alla resistente, non avrebbero alcun tipo di utilità aziendale, per cui non possono qualificarsi alla stregua di un ramo d’azienda; sicché, correttamente XXX, nell’esternalizzare le attività di movimentazione interna delle merci, non ha provveduto all’informativa di cui all’art. 47 della l. n. 428/1990;

- che, le ricorrenti non hanno allegato alcuna motivazione sindacale sottesa ai licenziamenti; né hanno dimostrato la sussistenza del nesso causale tra le presunte condotte antisindacali contestate ed i licenziamenti, di cui non può disporsi alcuna revoca della procedura di licenziamento collettivo e/o alcun annullamento dei licenziamenti e/o alcuna reintegrazione nei posti di lavoro, per come richiesti in ricorso;

- che, la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dai ricorrenti è destituita di ogni fondamento probatorio e sostanziale;

- che, ricorre un’ipotesi di esercizio abusivo dello strumento processuale, che impone conseguentemente la condanna delle ricorrenti ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria, in una somma che va equitativamente quantificata nel doppio della tariffa professionale massima relativa al valore della domanda introdotta da controparte ossia Euro 40.188,00.

Sulla base di tali premesse, XXX ha rassegnato le seguenti conclusioni di seguito testualmente riportate: “In via preliminare: per i motivi tutti di cui in narrativa e segnatamene in base a quanto trasfuso nel punto C del presente atto, dovendosi ritenere la sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario, disporsi ex art. 102 c.p.c. la chiamata di causa di YYY sc.

In via principale: rigettare il ricorso perché infondato in fatto ed in diritto per i motivi tutti di cui in narrativa.

In via riconvenzionale: per i motivi tutti di cui in narrativa, accertata e dichiarata la sussistenza nel caso di specie di un esercizio abusivo dello strumento processuale ad opera delle Associazioni Sindacali ricorrenti e/o la temerarietà della domanda di risarcimento danni formulata dalle stesse, condannare le Associazioni Sindacali al pagamento di una somma ex art. 96 c.p.c., anche ex comma 3, quantificato in una somma che va equitativamente quantificata nel doppio della tariffa professionale massima relativa ai valori di causa in base alle tariffe professionali ad oggi applicate, ovvero € 40.188,00, o la diversa, maggiore o minore somma che risulterà di giustizia, il tutto oltre interessi e rivalutazione dal giorno del dovuto sino al saldo effettivo. Spese, diritti ed oneri di causa integralmente rifusi”.

3. Ciò posto, occorre procedere ad una perimetrazione giuridica della fattispecie di causa, in virtù delle disposizioni normative applicabili ratione materiae nell’ambito del procedimento incardinato avente ad oggetto la repressione della condotta antisindacale eventualmente assunta dal datore di lavoro.

3.1. A tal riguardo, l’art. 28, c. 1 della l. n. 300/70 statuisce: “Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale (…), su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il Tribunale del luogo (…) convocate le parti (…) qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro (…) la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”.

Occorre premettere che il ricorso azionato costituisce uno strumento introdotto dal legislatore nel sistema delle relazioni industriali a livello di azienda, destinato a garantire l’effettività del principio della libertà sindacale e dei diritti previsti dallo Statuto dei lavoratori.

La nozione di “condotta antisindacale” fornita dall’art. 28 della l. n. 300/70 non è analitica, bensì teleologica, nel senso che il comportamento illegittimo è individuato non in base alle sue caratteristiche strutturali, ma in relazione alla sua idoneità a ledere i beni protetti, quali i diritti di libertà sindacale (cfr. Cass., Sez. lav., sent. n. 13383).

Di tal guisa, l’esame delle singole doglianze verrà condotto sotto il profilo dell’idoneità degli atti denunciati a limitare la libertà sindacale e a colpire gli interessi collettivi di una larga parte dei lavoratori.

La valutazione delle questioni non può prescindere dai criteri espressi dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite (si v., in particolare, Cass. Civ. SS.UU. 12/6/1997 n. 5295), cui si è andata a conformare la giurisprudenza successiva (cfr. Cass. Civ. 26/3/1999, n. 2905), secondo la quale per integrare gli estremi della condotta antisindacale non è necessario uno specifico intento lesivo del datore di lavoro, ma è necessaria “l’obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre il risultato che la legge intende impedire, quali la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero”.

In alcuni casi l’antisindacalità dei comportamenti è espressamente prevista dalla legge: ad esempio l’art. 7 della l. n. 146/90 definisce condotta antisindacale la violazione da parte del datore di lavoro di clausole concernenti diritti ed attività sindacali di accordi e contratti collettivi che disciplinano il rapporto di lavoro nei servizi essenziali; ancora la disciplina prevista dall’art. 47, c. 3 della l. n. 428 del 1990 che definisce come antisindacale il mancato rispetto da parte del datore di lavoro, nei procedimenti di trasferimento di azienda, dell’obbligo di esaminare congiuntamente con le rappresentanze dei lavoratori le problematiche poste dal medesimo.

Pertanto, al di fuori dei casi previste dalla legge, la giurisprudenza di legittimità e di merito ha enucleato una casistica di comportamenti (anche omissivi) qualificati come antisindacali, quali: la discriminazione tra associazioni sindacali (cfr. Corte di Cassazione 25 luglio 1984 n. 4381; Corte di Cassazione 3 marzo 1990 n. 1677: Corte di Cassazione 10 giugno 2013 n. 14511: Corte di Cassazione 17 gennaio 1997 n. 435); la violazione del diritto all’aspettativa per i dirigenti sindacali (cfr. Corte di Cassazione 2 agosto 2010 n. 16865); la violazione dei diritti di informazione e consultazione nell’avvio di una procedura CIG o di riduzione del personale; la comunicazione tardiva e lacunosa dei criteri di scelta e dei meccanismi di rotazione dei lavoratori da sospendere in CIG , l’invio tardivo o il mancato invio dell’indicazione dei soggetti coinvolti nel trasferimento di azienda o la mancata veridicità dei dati trasmessi (cfr. Corte di Cassazione 9 giugno 200 n. 13250; pretura Milano 29 giugno 1992; Corte di Cassazione 4 ottobre 2013 n. 22736). Si tratta di un elenco non esaustivo.

Costituisce, poi, principio consolidato in giurisprudenza che uno dei requisiti essenziali dell’azione di repressione della condotta antisindacale, di cui all’art. 28 della l. n. 300 del 1970, è l’attualità di tale condotta o il perdurare dei suoi effetti (v. sul punto, per tutte, Cass. Civ. Sez. lav., sent. n. 3837/2016) al momento del deposito del ricorso introduttivo del giudizio, risultando indifferente ai fini della proponibilità della domanda l’eventuale cessazione della condotta antisindacale (ovvero il venire meno degli effetti della stessa) dopo l’instaurazione della lite.

3.2. Nel caso che ci occupa assume un rilievo centrale l’obbligo di consultazione ovvero di informazione dei lavoratori, che trae origine da una serie di interventi di natura comunitaria.

Basti rammentare la direttiva 89/391 del 12 Giugno 1989, recante l’obbligo di consultazione in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; la direttiva 94/95 CE, recante disposizioni sulla istituzione dei comitati aziendali europei e delle procedure di consultazione e di informazione dei lavoratori e le direttive gemelle 2001/86/CE e 2003/72/CE; nonché la direttiva 2002/14 CE, recepita con d.lgs. n. 25/2007.

Rileva all’uopo come la Corte di Giustizia UE, in tema di titolarità del diritto di informazione e consultazione, da subito si sia espressa favorevolmente, invitando le legislazioni nazionali a garantire che i lavoratori potessero esercitare tale diritto (cfr. Corte di Giustizia UE, 8.6.1994, c-383/92 e c-382/92). Tanto la direttiva 2002/14, quanto la sua diretta attuazione nel nostro sistema per il tramite del d.lgs. n. 25 del 2007, raccomandano che l’efficacia dell’esercizio del diritto di informazione e consultazione trovi tutela nelle modalità previste dai contratti collettivi di categoria.

Le direttive impongono agli Stati membri un meccanismo probatorio che richiede alla parte ricorrente di dedurre i fatti o di produrre elementi in presenza dei quali si possa solo presumere una condotta illecita, con una chiara opzione per l’inversione dell’onere probatorio a carico del soggetto che discrimina (cfr. Cass. Civ., Sez. lav., sent. n. 1 del 2020).

In questo contesto la procedimentalizzazione determinata dalle clausole contrattuali impone che le scelte gestionali dell’impresa di determinante impatto sulla sfera dei lavoratori (licenziamenti, cessioni di rami d’azienda, cessazione delle attività, processi di aggregazione, etc.) debbano essere obbligatoriamente oggetto di consultazione con le organizzazioni sindacali costituite, visti gli interessi collettivi di cui sono portatrici e la valenza che riveste l’adozione di una scelta gestionale d’impresa quale il licenziamento collettivo.

Il legislatore ha recepito tale obbligo nella l. n. 223/91 (recante norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro).

Più in particolare, l’art. 4, c. 2 della predetta legge disciplina la procedura di licenziamento collettivo e prevede in via preliminare che “le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa aderisce o conferisce mandato”.

Secondo quanto previsto dall’art. 4, c. 3, “la comunicazione di cui al comma 2 deve contenere indicazione: dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato; dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva”.

Orbene, la violazione degli obblighi di cui alle clausole previste dal CCNL di categoria ovvero di quanto previsto dalla l. n. 223/91 configura, per giurisprudenza consolidata, sempre condotta antisindacale e come tale trova tutela nell’art. 28 della l. n. 300/70.

Elemento focale del presente procedimento è il corretto adempimento della parte datoriale dell’obbligo di comunicazione su di essa gravante ai sensi delle fonti di rango contrattuale e legislativo, sul quale dovere si concentrerà il sindacato di questo Giudice, prescindendosi dalla qualificazione giuridica delle operazioni poste in essere dalla resistente e dalla loro inclusione in una categoria contrattuale piuttosto che un’altra, non potendo entrare nel merito delle decisioni aziendali.

Lo scrutinio imposto al Giudicante in sede di procedimento incardinato ai sensi dell’art. 28 della l. n. 300 del 1970 fa perno, infatti, sulla sussistenza di una condotta che possa definirsi come antisindacale e sulla sua riferibilità alla parte datoriale, da intendersi quale soggetto attivo del contegno censurato e quale legittimato sul piano passivo nel procedimento azionato.

Per tale ragione, non è stata disposta l’autorizzazione alla chiamata in causa di YYY, dal momento che le doglianze dei ricorrenti concernono l’antisindacalità della condotta ascrivibile al VVV.

I diritti di informazione e di consultazione rivestono un ruolo nevralgico in tale ambito. Basti rammentare l’incipit del CCNL per i dipendenti aziendali del settore terziario allegato al fascicolo di parte resistente (si v. doc. 23), i cui primi tre articoli sanciscono la necessità di incontri con cadenza fissa tra la Confcommercio e le OO.SS. al fine di esaminare in modo congiunto il quadro economico e produttivo del comparto, le sue dinamiche strutturali, le prospettive di sviluppo, i più rilevanti processi di ristrutturazione, terziarizzazione, affiliazione, concentrazione, internazionalizzazione, franchising, esternalizzazione e innovazione tecnologica, sia a livello aziendale che territoriale.

Giova, poi, considerare che l’art. 4 della l. n. 223 del 1991 pone in facoltà dell’impresa l’avvio della procedura di licenziamento collettivo al ricorrere di determinati presupposti.

L’esordio del citato disposto suggella testualmente la natura procedimentale della dichiarazione di mobilità, cui vengono ancorati i presidi disciplinati dai successivi commi dianzi richiamati.

Non risulta casuale il fatto che il comma 2 faccia riferimento all’obbligo di comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali costituite della volontà di avviare una procedura di licenziamento collettivo.

Ne emerge che l’adempimento degli obblighi di comunicazione non si colloca a valle della procedura, ma a monte, nella fase di gestazione dell’intenzione dell’azienda di procedere al licenziamento collettivo, non anche in quella finale di adozione del provvedimento decisorio che dà la stura alla dichiarazione di mobilità e deve essere svolta in tempi congrui.

Sono note, infatti, la distinzione e l’autonomia, dopo l’entrata in vigore della l. n. 223 del 1991, del licenziamento collettivo rispetto al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, per la caratterizzazione specifica del primo in base alle dimensioni occupazionali dell’impresa, al numero dei licenziamenti, all’arco temporale di loro intimazione e per l’inderogabile collegamento al controllo preventivo, sindacale e pubblico, dell’operazione imprenditoriale di ridimensionamento dell’azienda.

In particolare, la previsione, nei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, di una procedimentalizzazione puntuale, completa e cadenzata del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale sul ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex antea alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione.

I residui spazi di controllo demandati al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo, ma la correttezza procedurale dell’operazione (cfr. Cass. Civ. Sez. lav., ord., n. 5226 del 2023).

A riprova di tale assunto ricostruttivo si colloca il comma 5, dell’art. 4 citato, il quale condensa nella fase dell’esame congiunto di quanto comunicato il momento in cui la parte datoriale e le OO.SS. possono esaminare le cause che hanno contribuito a determinare una situazione di eccedenza del personale e le possibilità di utilizzare in modo diverso i dipendenti interessati anche nell’ambito della stessa impresa o con contratti di solidarietà e forme flessibili, prima di giungere alla scelta più drastica della riduzione del personale.

La ratio sottesa a tale procedura risponde al duplice scopo di favorite la cd. “gestione contrattata o anche consensualizzata” della crisi aziendale e di rendere trasparenti e monitorabili le scelte che la parte datoriale intende attuare secondo un meccanismo dialogico di tipo orizzontale (cfr. Cass. Civ. sent. n. 3628 del 2020; n. 119 del 2020; n. 21717 del 2018; n. 18943 del 2011).

Pertanto, attingendo ai principi generali che sovrintendono la formazione dei vincoli negoziali e intessono lo svolgimento della fase delle trattative, occorre valutare l’adempimento dell’obbligo di preventiva comunicazione non solo sotto il profilo della sua sussistenza, ma anche sotto quello della sua sufficienza, coerenza e adeguatezza rispetto alle finalità ascrittegli dalla legge, secondo il principio generale di correttezza che presidia lo scrutinio giudiziale sull’esattezza o meno dell’adempimento (cfr. Cass. 11.12.2019, n. 32387; Cass. 9.12.2019, n. 32072).

3.3. Orbene, nella comunicazione trasmessa in data 13 Giugno 2022 alle OO.SS. da parte di XXX sono indicati i motivi che hanno determinato la necessità di provvedere alla riduzione del personale e si precisa che: “L’attività di core business (approvvigionamento e distribuzione) è svolta all’interno dei magazzini di oltre 30 mila metri quadrati presso la sede della Società, prevalentemente tramite appalto di servizi affidato a primaria società di logistica. L’area organizzativa riveste quindi un aspetto fondamentale per l’efficienza delle attività di ricevimento, stoccaggio e prelievo, così da garantire un flusso di movimentazione delle merci fluido e continuo che si tramuta in tempestività di rifornimento sia dei supermercati propri che degli associati e dei privati affiliati (…). A causa della riduzione degli organici diretti di XXX (dimissioni, pensionamenti, prepensionamenti) che comunque operano all’interno della stessa struttura del magazzino, si è determinato il venir meno del necessario bilanciamento tra le attività svolte dal personale XXX e quelle svolte dal personale in appalto. Tale situazione si traduce in: disfunzioni interne dei tempi delle sequenze di movimentazione; allungamento dei range di orari di lavorazione; rallentamenti dei flussi di rifornimento ai supermercati; aumenti di costo; impossibilità di definire la piena responsabilità di errori e processi. La Società ha, pertanto, pianificato una incisiva riorganizzazione aziendale nell’ambito delle citate attività di magazzino, volta a rivedere il grado di efficienza e di efficacia dei flussi di movimentazione delle merci in misura tale da salvaguardare la peculiare identità consortile di XXX. XXX deve, pertanto, dare risposta alla necessità di riorganizzare le attività di ricevimento, stoccaggio e prelievo delle merci che non può che indirizzarsi vero l’affidamento completo delle stesse a società specializzate nelle attività di logistica e, in particolare, alla cooperativa che già oggi gestisce l’appalto.

Tale passaggio impedirà l’aggravamento di uno stato di impasse organizzativo che realisticamente potrebbe rivelarsi foriero di conseguenze economiche negative.

A seguito della esternalizzazione di cui sopra si verifica l’eccedenza del personale oggi addetto alle attività di ricevimento, stoccaggio e prelievo delle merci oggetto dell’appalto”.

Tra i motivi tecnici, produttivi e organizzativi XXX ha addotto la necessità di competere nel territorio locale, “il cui trend rispecchia la situazione nazionale dei consumi delle famiglie (di fonte Censis), che manifesta il forte ed imprescindibile impatto della modifica dei consumi, peraltro acuito dal contestuale aumento della concorrenza. Ulteriore elemento di caratterizzazione e criticità del mercato risulta essere l’impennata dei prezzi di acquisto delle materie prime che determinano aumenti significativi dei listini dei fornitori, nonché una improvvisa ed elevata inflazione dei prezzi stessi. (…).

Il magazzino centrale, polmone del core business aziendale, molto risente dell’influenza di un mercato il cui andamento si rivela pericolosamente involutivo per XXX in termini di redditività effettiva, debitamente calcolata al netto di non trascurabili voci di spesa/oneri generali dell’intero contesto socio-aziendale” In tale contesto di mercato, le disfunzioni interne dell’area magazzino di cui si è detto hanno comportato (…) la necessità improrogabile di esternalizzare le attività di ricevimento, stoccaggio e prelievo delle merci, circostanza che non rende quindi possibili ulteriori misure organizzative diverse dalla riduzione del personale operante nel medesimo ambito”.

Infine, tra le eventuali soluzioni praticabili, XXX ha chiarito di non ritenere percorribile la soluzione di ricorrere agli strumenti alternativi al licenziamento

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collettivo, stante il carattere strutturale dell’esubero, non escludendo un confronto con le parti per una disamina dell’attuale situazione occupazionale.

Ritiene questo Giudice che non sia stato correttamente e adeguatamente adempiuto da parte di SAIT il dovere di comunicazione preventiva previsto dall’art. 4 della l. n. 223 del 1991.

Infatti, la riduzione degli organici diretti di XXX per effetto di pensionamenti, prepensionamenti e dimissioni che ha cagionato, secondo la parte resistente, il venir meno del necessario bilanciamento tra le attività svolte dal personale XXX e quelle svolte dal personale in appalto, con disfunzioni interne dei tempi di movimentazione e dei flussi di rifornimento, è circostanza del tutto generica.

Parimenti la scelta di rispondere alla necessità di riorganizzare le attività di ricevimento e di stoccaggio delle merci nei magazzini mediante esternalizzazione, cui consegue la situazione di eccedenza del personale addetto a tali attività nella misura di 75 unità di diverso livello, non è accompagnata da una analitica esposizione, anche mediante riferimenti numerici e in termini di statistica comparata, di quali siano in modo specifico le disfunzioni che rilevano sul piano organizzativo.

Ulteriore aspetto da considerare concerne l’indicazione dei motivi tecnici, produttivi ed organizzativi posti alla base della decisione di procedere al licenziamento collettivo.

Non soddisfa tale requisito la comunicazione aziendale di XXX ai sensi dell’art. 4, c. 2, della l. n. 223 del 1991, la quale si limita a richiamare le caratteristiche del mercato, la situazione nazionale dei consumi delle famiglie, l’aumento della concorrenza e la spirale inflazionistica. Non è stato fornito alcun ragguaglio, anche mediante dei grafici contenenti eventuali cali di redditività o incrementi di costi, tali da consentire, in ottica quantitativa ed effettuale, di comparare l’andamento del mercato nel settore di riferimento e i risultati conseguiti nel comparto interessato dalla necessità di esternalizzare ossia quello di ricevimento, stoccaggio e prelievo delle merci, anche in termini di singole voci di spesa, al fine di valutare la proficuità della decisione aziendale. Non risultano neppure prodotti i bilanci della Società dai quali poter trarre in via presuntiva un decremento dei ricavi o un aumento dei costi registrati nel settore definito il core business dell’Azienda che è il centro di approvvigionamento e di distribuzione.

Le lamentate disfunzioni sul piano logistico e tempistico che impattano sul grado di efficienza e di efficacia dei flussi di movimentazione delle merci costituiscono circostanze assertive, prive di riscontro sul piano probatorio, il cui onere grava sulla parte datoriale.

Sotto tale profilo i dati comunicati da XXX a salvaguardia dell’identità consortile si presentano generici e non dettagliati.

La comunicazione di cui al comma 3, dell’art. 4 della l. n. 223 del 1991 prevede, inoltre, che la parte datoriale indichi il numero, la collocazione aziendale e i relativi profili professionali del personale eccedente e abitualmente impiegato; i tempi di attuazione del programma di riduzione del Personale e le eventuali misure programmate per fronteggiare tali conseguenze.

Sul punto, XXX si è limitata a comunicare che le persone abitualmente occupate nell’ambito dell’area “magazzini” interessata dalla procedura di licenziamento collettivo è costituita da 92 unità, di cui ben 75 eccedentarie all’esito dell’esternalizzazione, riportando in apposite tabelle i magazzini interessati dalla procedura e il livello di inquadramento professionale dei dipendenti in esubero.

Invero, le aziende devono esplicitare e dimostrare nella comunicazione che le ragioni della limitazione del licenziamento collettivo ad una singola unità produttiva o ad uno specifico settore siano dovute ad obiettive esigenze organizzative e tecniche di natura specifica e non generica, con elucidazione dei motivi per i quali i lavoratori in esubero non possono essere trasferiti presso un’altra unità produttiva nell’ambito della stessa azienda (cfr., in linea generale, Cass. Civ. Sez. Lav., sent. n. 34364 del 2019; sent. n. 22672 del 2018 e sent. n. 9711 del 2011).

La Corte di Cassazione ha chiarito a riguardo, in una fattispecie analoga, che “la delimitazione della platea è legittima, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva, ben potendo le esigenze tecnico-produttive ed organizzative costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purchè il datore indichi nella comunicazione prevista dall'art. 4, comma 3, citato sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. 9 marzo 2015, n. 4678; Cass. 12 settembre 2018, n. 22178; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387). Inoltre, essa è legittima qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, agli addetti ad essi sulla base soltanto di oggettive esigenze aziendali, purché siano dotati di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle altre (Cass. 11 luglio 2013, n. 17177; Cass. 12 gennaio 2015, n. 203; Cass. 1 agosto 2017, n. 19105; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387). Nella fattispecie in esame, però, la procedura di licenziamento ha interessato non una unità produttiva nei termini sopra esposti, bensì singole posizioni lavorative (3 facchini e 4 cameriere ai piani) che non necessitano di particolare addestramento e/o speciale competenza rispetto ad altre posizioni del medesimo livello contrattuale D1, non coinvolte dalla procedura stessa. La comparazione dei lavoratori doveva, quindi, avvenire (e su tale punto la comunicazione di avvio avrebbe dovuto essere chiara e specifica) tra tutti i dipendenti di professionalità equivalente inquadrati nello stesso profilo professionale, non limitandosi a tenere conto delle mansioni concretamente svolte in quel momento, ma anche della capacità professionale degli addetti alle mansioni da sopprimere, mettendo quindi a confronto tutti coloro che fossero in grado di svolgere le mansioni proprie dei settori che sopravvivevano all'esternalizzazione, indipendentemente dal fatto che, in concreto, non le esercitassero al momento del licenziamento collettivo. Di tali aspetti la comunicazione di avvio avrebbe dovuto darne atto, proprio per consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l'esubero di personale e le unità lavorative che si intendano concretamente espellere (Cass. n. 2429/12; Cass. n. 4678/15) perchè, altrimenti, la comunicazione medesima, incidendo su arbitrari criteri di scelta, finiva per individuare singolarmente i lavoratori da licenziare (Cass. n. 10832/1997; Cass. n. 9856/2001)” (cfr. Cass. Civ., Sez. lav., sent. n. 33238 del 2021).

Nella comunicazione del 13 Giugno 2022, si individua il personale in esubero nei magazzinieri e nell’addetto magazziniere impegnati nel magazzino generi vari (41 unità); nel magazzino salumi e latticini (31 unità) e in quello ortofrutta (3 unità), senza specificare in alcun modo per quale motivo tali figure professionali risultassero eccedentarie rispetto alle altre di pari livello e con la stessa qualifica non rientranti nella procedura di esternalizzazione e per quale motivo non potessero essere reimpiegate in altra unità o in differente settore.

Si configura, pertanto, una violazione dei diritti dei Sindacati, messi innanzi al fatto compiuto e privati della facoltà di intervenire sull’iter di formazione della decisione datoriale, nell’ambito del democratico e costruttivo confronto che dovrebbe caratterizzare le posizioni delle parti, dovendo escludersi che il rapporto sia connotato da “un inevitabile e irriducibile contrasto fra datori di lavoro e lavoratori”, nonché da “un incessante conflitto fra opposti interessi degli uni e degli altri” (cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 99 del 1980).

Preme ribadire che, pur non essendo in discussione la discrezionalità dell’imprenditore rispetto alla decisione di esternalizzare un settore dell’attività di impresa, costituente espressione della libertà garantita dall’art. 41 Cost., nondimeno la scelta imprenditoriale deve essere attuata con modalità rispettose dei principi di buona fede e correttezza contrattuale, nonché del ruolo e delle prerogative del Sindacato.

Invero, il controllo giudiziale non riguarda le ragioni dell’esternalizzazione, ma il corredo di informazioni poste alla base di tale scelta che non risulta adeguato (inesattezza sotto il profilo del quomodo e del quando) a fronte della entità delle conseguenze discendenti dalla decisione assunta a livello aziendale.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, precisato che: “La comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro dà inizio alla procedura di licenziamento collettivo deve compiutamente adempiere l'obbligo di fornire le informazioni specificate dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 in maniera tale da consentire all'interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero. La comunicazione prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 4 è in contrasto con l'obbligo normativo di trasparenza quando: a) i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti; b) la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata; c) sussista un rapporto causale fra l'indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale (Cass. n. 6225/07)” (cfr. Cass. Civ., Sez. lav., sent. n. 33238 del 2021, sopra citata).

Nel caso di specie la parte datoriale non si è limitata a comunicare ‘l’intenzione’ di procedere al licenziamento collettivo, ma ha comunicato la ‘decisione’ di procedere alla riduzione del personale, palesando ai Sindacati sin da subito l’impossibilità di ricorrere a strumenti alternativi, salva la possibilità di aprire un confronto con le parti per una disamina dell’attuale situazione occupazionale, con inadempimento del dovere di informazione sotto il profilo dell’adeguatezza e della congruità temporale.

Il fatto che si trattasse di una decisione già assunta emerge nella comunicazione trasmessa ai dipendenti addetti ai magazzini in data 15 Giugno 2022, prot. n. 86/2022, allegata in atti sub doc. 8 del fascicolo dei ricorrenti.

In tale nota XXX ha proposto una soluzione alternativa al licenziamento costituita dalla possibilità di mantenere il posto di lavoro, sottoscrivendo apposita scrittura di cessione diretta del contratto da XXX a YYY entro il 30 Giugno 2022, con mantenimento della stessa posizione lavorativa.

Siffatto elemento emerge anche nei verbali degli incontri che si sono succeduti all’esito della comunicazione del 13 Giugno 2022, datati rispettivamente 26 Luglio, 4, 18 e 26 Agosto 2022, dai quali si desume che l’avvio della procedura di licenziamento collettivo sottende a monte la decisione già assunta di esternalizzare le attività del magazzino, con conseguente disponibilità dell’appaltatore di garantire il passaggio del personale in esubero presso la propria Azienda con cessione del contratto e mantenimento dello stesso inquadramento professionale sotto il profilo giuridico ed economico, previa acquisizione del consenso dei dipendenti addetti al magazzino entro la data del 30 Giugno 2022, a fronte di una comunicazione trasmessa solo in data 15 Giugno 2022.

Invero, anche la tempistica con la quale è avvenuta la comunicazione risulta lesiva delle prerogative sindacali. Infatti, alle lettera D) la parte datoriale fa presente che sino al 30 Giugno 2022 l’appaltatore ha manifestato la disponibilità a garantire il mantenimento del posto di lavoro mediante l’assorbimento del personale in esubero con passaggio diretto, mediante cessione del contratto.

Non è una dato trascurabile il fatto che tra il giorno della comunicazione pari al 13 Giugno 2022 e il termine fissato per l’adesione ossia il 30 Giugno 2022, intercorrano poco più di 15 giorni, ossia un lasso di tempo esiguo per poter valutare la situazione di esubero del personale e di ricollocamento presso altro datore di lavoro con le rappresentanze dei lavoratori, con conseguente frustrazione dell’efficacia dell’iniziativa sindacale.

Sul punto, non rileva l’eccezione avversaria circa l’evidenza della situazione di esubero negli incontri tenutisi anteriormente al mese di Giugno 2022, di cui non è stato fornito alcun riscontro documentale mediante la produzione dei relativi verbali e degli argomenti posti all’ordine del giorno, non potendosi demandare alla prova testimoniale la dimostrazione di dati inerenti all’andamento aziendale.

Parimenti inconferente sul piano probatorio si presenta l’allegazione degli articoli di giornale riportanti la notizia di una presunta volontà di esternalizzazione da parte di XXX o del fatto che i Sindacati non abbiano chiesto incontri con XXX .

Tale elementi non elidono l’inesatto adempimento del dovere di comunicazione e delle sue precipue modalità di attuazione.

Il comportamento antisindacale accertato è, infatti, consistito nell’aver impedito al Sindacato stesso di interloquire, come sarebbe stato suo diritto, nella delicata fase di formazione della decisione di procedere al licenziamento collettivo, non prospettando sin da subito la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi. Ai Sindacati non è stato permesso, pertanto, di adempiere alla propria funzione istituzionale.

Sul punto, l’art. 4 d.lgs. n. 25/2007 attuativo della direttiva europea 2002/14/CE, in materia di andamento prevedibile dell’occupazione, rischio per l’occupazione e relative misure di contrasto, nonché in relazione alle decisioni dell’impresa che siano suscettibili di determinare rilevanti cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, prevede che le informazioni devono essere date in modo da permettere ai rappresentanti sindacali di formulare un parere ed ottenere motivato riscontro al fine di ricercare un accordo sulle determinazioni aziendali.

Pertanto, in parziale accoglimento del ricorso, va dichiara l’antisindacalità della condotta posta in essere da SAIT consistita nel non aver correttamente adempiuto al dovere di comunicazione previsto dall’art. 4 della l. n. 223 del 1991.

Non vi è dubbio che nel caso di specie, pur essendosi esaurita la condotta datoriale oggetto di giudizio, la stessa, se non rimossa, sia suscettibile di produrre ancora i suoi effetti, in quanto rimane il dato di fatto incontestabile per il quale il datore di lavoro si sia determinato ad intraprendere le procedure di legge senza correttamente consultare in modo preventivo i sindacati.

Da ciò ne deriva che l’inadeguatezza delle informazioni che avrebbe potuto condizionare la conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni della l. n. 223 del 1991, determina l’inefficacia dei licenziamenti.

In particolare, l’art. 5, c. 3 della l. n. 223 del 1991, eccezion fatta per l’ipotesi del licenziamento senza forma scritta, sanzionato con il regime di cui all’art. 18, c. 1 della l. n. 300 del 1970, fa riferimento alla violazione delle procedure richiamate dall’art. 4, c. 12 (che a sua volta richiama le comunicazioni di cui al comma 9 - conclusione procedura - e al comma 2) - avvio procedura), violazione per la quale è prevista la tutela indennitaria forte, e alla violazione dei criteri di scelta, per la quale è prevista, di contro, la tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, c. 4, della l. n. 300 del 1970.

Per i licenziamenti collettivi, quindi, secondo il diritto positivo, non esiste la possibilità di individuare una tutela diversa da quella dettata dal citato art. 5 (cfr., sul punto, Cass. Civ., Sez. lav., sent. n. 33238 del 2021, sopra citata).

Pertanto, laddove si registri una violazione dei criteri di scelta previsti dall’art. 5, c. 1, della l. n. 223 del 1991, che impone di individuare i lavoratori da licenziare in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, come nella vicenda che ci occupa, si applica il regime di cui all’art. 18, c. 4, della l. n. 300 del 1970, con conseguente reintegra del lavoratore nel posto di lavoro precedente.

È stato già evidenziato da questo Giudice che la comunicazione preventiva fornita da XXX non soddisfa i requisiti previsti dall’art. 4 della l. n. 223 del 1991 anche sotto il profilo della individuazione della platea dei lavoratori da licenziare in relazione alle disfunzioni organizzative lamentate dall’Azienda. Ne consegue che si applica il regime previsto dall’art. 18, c. 4, della l. n. 300 del 1970.

La disposta tutela in forma specifica delle doglianze sollevate dalle parti ricorrenti assorbe l’ulteriore richiesta di risarcimento del danno per equivalente.

Inoltre, la richiesta di pubblicazione del provvedimento su quotidiani di diffusione nazionale e locale non risulta suscettiva di accoglimento in ragione del limitato clamore sul piano territoriale della vicenda in esame e del relativo iter di svolgimento.

Gli esiti del presente giudizio escludono il ricorrere dei presupposti della condanna dei ricorrenti per responsabilità processuale aggravata, per come richiesto dalla resistente, dal momento che l’applicazione dell’art. 96 c.p.c. sottende la soccombenza della parte.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 147 del 2022, nella misura di Euro 11.327,00, con applicazione dello scaglione previsto per le cause soggette al rito lavoro, di valore indeterminabile e di complessità media, compensate per metà in ragione del parziale accoglimento delle domande proposte ai sensi dell’art. 92, c. 2, c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale di Trento, in funzione di Giudice del lavoro, nella causa pendente tra le parti di cui in epigrafe, così provvede:

1) in accoglimento parziale della domanda:

- accerta l’antisindacalità della condotta posta in essere da XXX Soc. Coop., in persona del legale rappresentante p.t., consistita nel non aver correttamente adempiuto agli obblighi di comunicazione preventiva previsti dall’art. 4, commi 3 e 4, della l. n. 223 del 1991, per le ragioni esposte in narrativa;

- ordina, per l’effetto, alla parte resistente di cessare la predetta condotta antisindacale e di astenersi per il futuro dal reiterarla;

− ordina, altresì, alla resistente di revocare la comunicazione di avvio della procedura ex art. 4 c. 3 della l. n. 223 del 1991 e di adempiere agli obblighi di informazione preventiva sanciti dal citato disposto, avviando il confronto con le associazioni sindacali ricorrenti;

- ordina la rimozione degli effetti pregiudizievoli della procedura di licenziamento collettivo, attraverso la reintegrazione dei lavoratori nel rispettivo e precedente posto di lavoro e l’adozione dei provvedimenti conseguenti ed accessori;

- rigetta le ulteriori domande proposte dalle parti ricorrenti;

- rigetta la domanda di parte resistente di condanna delle parti ricorrenti ai sensi dell’art. 96 c.p.c.;

- condanna la parte resistente a corrispondere alle Associazioni sindacali ricorrenti, in solido tra di loro, le spese di lite, che liquida in Euro 5.663,50, oltre al rimborso forfettario delle spese generali al 15 per cento, Iva e CPA, come per legge.

Manda alla Cancelleria per la comunicazione del presente decreto ai procuratori costituiti delle parti.

Trento, 30 Giugno 2023.

Il Giudice

Dr.ssa Giuseppina Passarelli

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