Per accedere agli alloggi pubblici della Provincia autonoma di Trento il requisito di residenza decennale è discriminatorio

Corte d'Appello di Trento Sezione Lavoro Sentenza 23/06/2021 relatrice Dott.ssa Anna Luisa Terzi
Sentenza in sintesi:
La Corte d’Appello di Trento ha confermato la discriminatorietà del requisito dei 10 anni di residenza introdotto dalla legge provinciale n. 5 del 2019 per la presentazione della domanda volta all’assegnazione degli alloggi a canone sostenibile.
testo della sentenza:

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Corte d’Appello di Trento

Sezione prima civile

La Corte d’Appello di Trento, riunita in composizione collegiale nelle persone dei Signori

Magistrati:

dott. Anna Maria Creazzo Presidente

dott. Ugo Cingano Giudice

dott. Anna Luisa Terzi Giudice relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa in grado di appello promossa con atto di citazione depositato in data 28.10.2020

ed iscritta a ruolo al n. 61/2020 R.G. da:

PROVINCIA AUTONOMA TRENTO (00337460224) domiciliato/a in PIAZZA DANTE,

15 38100 TRENTO presso lo studio dell’avv. PEDRAZZOLI NICOLO’ (cf

PDRNCL56R01G428C) dal quale è rappresentata e difesa, unitamente all’avv. MANICA

MONICA (cf MNCMNC64T47H612W) e all’avv. BIASETTI VIVIANA (cf

BSTVVN64A63A952K) come da mandato allegato all’atto di citazione in appello

APPELLANTE

contro

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DANIEL BEKELE TOLA (cf TLODLB88H22Z315L) e ASGI (cf 07430560016),

elettivamente domiciliati in PIAZZA DEL PODESTA’, 10 38068 ROVERETO presso lo

studio dell’avv. GUARINI GIOVANNI (cf GRNGNN79A23G916O) che li rappresenta e

difende, unitamente all’avv. GUARISO ALBERTO (cf GRSLRT54S15F205S), in forza di

mandato in calce al ricorso introduttivo in primo grado

APPELLATI

COMUNE DI TRENTO

APPELLATO CONTUMACE

Oggetto: discriminazione

Causa ritenuta in decisione sulla base delle seguenti

CONCLUSIONI

DI PARTE APPELLANTE:

Piaccia all’Ecc.ma Corte: “voglia la Corte d’Appello adita, in accoglimento del presente

appello annullare e/o riformare l’ordinanza appellata del Tribunale di Trento – sezione lavoro

n. 138/2020 pubblicata il 29 settembre 2020 nei termini di cui ai motivi di appello proposti; in

particolare in via pregiudiziale/preliminare in ordine: - al rilevato profilo di difetto di

giurisdizione del Giudice ordinario, - al rilevato profilo di incompetenza del Giudice del

Lavoro; accertare e dichiarare la illegittima disapplicazione ai sensi del punto 6 del PQM

dell’ordinanza impugnata delle norme provinciali art. 5 co.2bis ed ex art. 3 co.2bis L.P.

15/2005; accertare e dichiarare che le norme medesime non introducono una discriminazione

indiretta in relazione alla nazionalità. Sull'appello incidentale: voglia la Corte d’Appello adita,

rigettare integralmente l’appello incidentale proposto dagli appellati Tola Daniel Bekele e

ASGI con memoria di costituzione 22 gennaio 2021 perché irricevibile, inammissibile e

infondato in fatto e in diritto. Con vittoria di spese e onorari anche del primo grado, in

subordine, con compensazione delle spese.”

DI PARTE APPELLATA DANIEL BEKELE TOLA e ASGI

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Piaccia all’Ecc.ma Corte: “in via principale respingere l’appello principale e in accoglimento

dell’appello incidentale riformare l’ordinanza del Tribunale di Trento Giudice del Lavoro n.

138/2020 accogliendo le seguenti due domande: quanto alle contributo integrativo del canone

di locazione, aggiungere alle statuizioni già assunte dal primo le giudice le seguenti ulteriori

statuizioni: a) ordinare alla PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO di riaprire i termini per

la domanda per il contributo integrativo al canone di locazione di cui all’art. 3 L.P. 15/2005

relativamente all’anno 2019, eliminando il requisito di residenza decennale sul territorio

nazionale; b) ordinare alla PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO di dare adeguata

partecipazione al bando 2019 mediante pubblicazione della presente sentenza nel sito

istituzionale della Provincia per tre mesi, con richiamo nella home page; c) ordinare alla

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO di adottare ai sensi dell’art. 28. D.lgs.150/2011, un

piano di rimozione idoneo ad evitare il reiterarsi della discriminazione che comprenda l’ordine

di modifica del regolamento ex d.p.p. 12.12.2011 n. 17-75 nella parte in cui esige ai fini

dell’ammissibilità delle domande di accesso al predetto contributo integrativo, il possesso del

requisito della residenza decennale nel territorio nazionale, nonché l’inserimento nei

conseguenti provvedimenti atti amministrativi della determinazione per cui, ai fini

dell’ammissibilità delle predette domani per gli anni successivi al 2019 non è più previsto il

requisito della residenza decennale nel territorio nazionale; d) Condannare la PROVINCIA

AUTONOMA DI TRENTO al pagamento in favore di ASGI della somma di euro 50 per ogni

giorno di ritardo nell’esecuzione degli ordini di cui alle lettere a) b) c) con decorrenza dal 61º

giorno successivo alla data della decisione. Quanto all’accesso alle graduatorie per gli alloggi

di edilizia pubblica e) Confermare le statuizioni del giudice di primo grado eliminando però

dai punti 10,11,13 del PQM il riferimento ai cittadini extra UE titolari del permesso di

soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, affinché il requisito di residenza decennale

sia eliminato per tutti coloro che possono accedere ai due benefici in questione (italiani,

cittadini UE e cittadini extra UE soggiornanti di lungo periodo) e non per i soli cittadini extra

UE soggiornanti di lungo periodo. 3. Confermare nel resto l’impugnata ordinanza. 4.

Condannare la PROVINCIA DI TRENTO al pagamento delle spese del grado, ivi compreso il

contributo unificato ove richiesto, con distrazione in favore dei procuratori che si dichiarano

antistatari. In subordine si chiede che la Corte, Voglia ritenere non manifestamente infondata

la questione di legittimità costituzionale nei termini prospettati in memoria e voglia pertanto

sollevare detta eccezione e sospendere il giudizio, ferma l’efficacia della pronuncia di primo

grado.”

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato la Provincia Autonoma di Trento ha proposto

appello contro l’ordinanza in data 29.9.2020 del Tribunale di Trento, con la quale, in

contraddittorio anche con il Comune di Trento, disattese le eccezioni preliminari dei

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convenuti di difetto di giurisdizione, di incompetenza e di difetto di legittimazione attiva

di ASGI – Associazione studi giuridici sull’immigrazione, in accoglimento della

domanda di quest’ultima e di Tola Daniel Bekele, disapplicati gli artt. 5 comma 2bis e 3

comma 2bis LP n. 15/05 in quanto in violazione del principio della parità di trattamento

tra soggiornanti di lungo periodo e cittadini nazionali ex art. 11 comma 1, lett. f) e lett.

d) della direttiva 2003/109/CE, nella parte in cui subordinando l’ammissibilità della

domanda di assegnazione di alloggio a canone sostenibile al requisito della residenza

decennale nel territorio nazionale, è stato ordinato: 1) al Comune di Trento di inserire

Tola Daniel Bekele e i richiedenti in possesso del permesso di soggiorno UE per

soggiornanti di lungo periodo, ex art. 9 co.1 d.lgs. 286/1998, nella graduatoria per

l’accesso a un alloggio a canone sostenibile per l’anno 2019 e alla Provincia Autonoma

di riaprire, in favore dei titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo

periodo, ex art. 9 co.1 d.lgs. 286/1998, i termini di presentazione delle domande relative

agli alloggi pubblici a canone sostenibile non ancora assegnati relativamente all’anno

2019; 2) ad entrambi di dare adeguata informazione della intervenuta modifica dei

requisiti di partecipazione al bando 2019 mediante pubblicazione dell’ordinanza nei siti

istituzionali per tre mesi, con richiamo nelle rispettive home page, e di adottare, ai sensi

dell’art. 28 d.lgs. 150/2011, un piano di rimozione idoneo ad evitare il reiterarsi della

discriminazione, comprensivo della modifica delle disposizioni di legge provinciale e

dei provvedimenti attuativi con i quali è stato previsto il requisito ritenuto illegittimo,

condannando al pagamento, il Comune di Trento a favore di Tola Daniel Bekele ed

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entrambi a favore di ASGI, della somma di € 50,00 per ogni giorno di ritardo

nell’esecuzione del provvedimento con decorrenza dal sessantunesimo giorno

successivo alla data della sua emissione.

Lamenta l’appellante la violazione ed erronea applicazione degli artt. 103 cost., 7 e 133

d.lgs n. 104/2010, 4 e 5 L n. 2248/1865 all. E e l’insufficiente motivazione in ordine

all’eccezione di difetto di giurisdizione, avendo il giudice di primo grado argomentato

dall’art. 44 d. lgs n. 286/98 senza distinguere e motivare in ordine alla distinzione

contenuta nella norma che prevede l’azione civile contro la discriminazione per

“comportamenti” della PA e non per i provvedimenti amministrativi e quindi contro

condotte materiali, tenute distinte dall’ “azione amministrativa”, essendo demandata

invece al giudice amministrativo la giurisdizione sugli atti e provvedimenti, compresi i

comportamenti attuativi espressione del potere amministrativo, come il diniego sulla

domanda di Tola Bekele Daniel che ha integrato l’interesse ad agire ex art. 100 cpc, in

difetto del quale l’azione sarebbe stata inammissibile. Censura l’assegnazione della

controversia al giudice del lavoro in violazione degli artt. 409 e 442 comma 1 cpc, non

trattandosi di controversia in materia di previdenza e assistenza obbligatorie. Nel merito

lamenta la violazione degli artt. 101, comma 1, cost., 113 cpc, 288 del Trattato sul

Funzionamento dell’Unione europea e della legge n. 234/2012 per abuso del potere di

disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto comunitario, essendo stata

la direttiva del 25.11.2003, n. 2003/109/CE recepita dallo Stato italiano con il d.lgs. n.

3/07, con la conseguenza della eventuale illegittimità costituzionale della norma interna,

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senza possibilità di applicazione diretta di quella comunitaria e non essendo in ogni caso

la disposizione di cui all’11 comma 2 della Direttiva n. 2003/109/CE incondizionata e

suscettibile di essere direttamente applicata, attesa la clausola di riserva che consente

alla Provincia di porre limitazioni alla completa equiparazione di trattamento tra cittadini

UE e cittadini di paesi terzi lungo soggiornanti. Censura inoltre l’abuso del potere di

disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto comunitario in relazione

alla normativa relativa al contributo integrativo del canone di locazione, atteso da un lato

che Tola Bekele Daniel non ha presentato domanda del contributo integrativo di cui

all’art. 1 del regolamento attuativo della legge né ex lett. f) (contributo integrativo sul

libero mercato e per casi di particolare necessità e disagio), né ex lett. d) (contributo

integrativo sui canoni di locazione) e dall’altro che si tratta di misura di sostegno rispetto

alla quale non vi è stata alcuna statuizione nel dispositivo dell’ordinanza, con

conseguente illegittimità della affermazione della disapplicazione dell’art. 3 comma 2

bis della L.P. 15/2005 perché non preordinata alla decisione sul caso concreto. Lamenta

infine l’erronea applicazione dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 150/2011 in materia di

ripartizione dell’onere della prova, essendo la normativa provinciale stata emanata in

coordinamento con quella nazionale sul reddito di cittadinanza, anche quanto al requisito

della residenza ultradecennale nello Stato italiano previsto uniformemente senza

distinzioni per l’accesso alle misure di sostegno, requisito che soddisfa ai criteri di

"ragionevolezza" e "proporzionalità" e non essendo desumibile dal dato statistico

indicato dai ricorrenti una presunzione di discriminazione non essendo significativa la

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percentuale indicata del 25,9% di soggetti lungo soggiornanti che rimarrebbero esclusi

rispetto a quelli di cittadinanza italiana o UE.

Si sono costituiti in giudizio gli appellati replicando agli argomenti svolti a sostegno

dell’impugnazione e proponendo appello incidentale per l’integrazione del dispositivo,

in ogni statuizione, con il riferimento anche al contributo integrativo al canone di

locazione di cui all’art. 3 L.P. 15/2005, già considerato nella motivazione della sentenza

e con l’estensione delle statuizioni anche ai cittadini UE, come da domanda proposta con

il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Il Comune di Trento è rimasto contumace.

Respinta l’istanza della Provincia Autonoma di Trento di sospensione della provvisoria

esecuzione della sentenza, disposta la trattazione scritta del procedimento, disposta la

notificazione al contumace dell’appello incidentale, in data 11 marzo 2021, precisate le

conclusioni, la causa è stata assegnata in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’eccezione di difetto di giurisdizione è infondata in considerazione della natura della

posizione soggettiva che viene dedotta quale titolo della domanda, che è un diritto

assoluto della persona (il diritto a non essere discriminato), rispetto al quale l’atto

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amministrativo si pone come fatto/comportamento lesivo: “Il fatto che la posizione

tutelata assurga a diritto assoluto, e che simmetricamente possano qualificarsi come fatti

illeciti i comportamenti di mancato rispetto della stessa, fa sì che il contenuto e

l'estensione delle tutele conseguibili in giudizio presentino aspetti di atipicità e di

variabilità in dipendenza del tipo di condotta lesiva che è stata messa in essere e anche

della preesistenza o meno di posizioni soggettive di diritto o interesse legittimo del

soggetto leso a determinate prestazioni. Di ciò si trova riscontro nel dettato normativo,

secondo cui il giudice può "ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e

adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti

della discriminazione" (D.Lgs. n. 2876 del 1998, art. 44, comma 1), oltre che

condannare il responsabile al risarcimento del danno (comma 7). Risulta quindi

spiegabile, in particolare, come, in relazione a discriminazioni del genere di quelle in

esame, anche quando esse siano attuate nell'ambito di procedimenti per il

riconoscimento da parte della pubblica amministrazione di utilità rispetto a cui il

soggetto privato fruisca di una posizione di interesse legittimo e non di diritto

soggettivo, la tutela del privato rispetto alla discriminazione possa essere assicurata

secondo il modulo del diritto soggettivo e delle relative protezioni giurisdizionali.

L'inquadramento nell'ambito del diritto assoluto spiega efficacia, infatti, ai fini e nei

limiti delle esigenze di repressione della (in ipotesi) illegittima discriminazione, anche se

non possono essere predeterminati in astratto i termini della tutela accordabile

giudizialmente, dovendosi tenere conto delle specificità di ogni situazione…” (Cass.

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SSUU ordinanza n. 7186/2011 e sul punto da ultimo conforme anche Cass. ord. n.

3842/21).

La definizione del diritto a non essere discriminati come diritto assoluto della persona

contiene ed esaurisce ogni possibile distinzione, quale quella che l’appellante vorrebbe

trarre dall’argomento letterale ex art. 44 d. lgs n. 286/98, venendo in considerazione, ai

fini della ripartizione della giurisdizione, unicamente la lesione del diritto e non il

mezzo con il quale la lesione è stata attuata, come è evidenziato dalla formulazione

dell’art. 28 comma 5 dlgs 150/11 (“..il giudice può ordinare la cessazione del

comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole ...) e come

ormai statuito con un orientamento sostanzialmente uniforme dal giudice delle leggi, dal

giudice di legittimità e dalla giurisprudenza di merito (per l’illustrazione del quale si

rinvia alla comparsa di costituzione degli appellati).

Tutti gli altri argomenti svolti dalla Provincia a sostegno della sua tesi restano assorbiti,

compresi quelli diretti a dimostrare la connessione dell’interesse ad agire con l’esistenza

di un provvedimento amministrativo, che comporterebbe quale conseguenza il difetto di

giurisdizione.

Rappresentata dalla parte la lesione del diritto, la giurisdizione appartiene al giudice

ordinario, attenendo al merito la sussistenza della lesione, che può venire in rilievo sia in

astratto sotto il profilo della idoneità dell’atto/comportamento lesivo allegato a

determinare la lesione, sia in concreto sotto il profilo della fondatezza della domanda.

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Nel caso in esame non vi può essere alcun dubbio sulla sussistenza dell’interesse ad

agire essendo il requisito contestato della ultradecennalità della residenza nel territorio

dello Stato, che ha determinato la negazione del diritto, idoneo in astratto a determinare

un trattamento sfavorevole, rispetto ai cittadini, per i soggetti che non lo possiedono in

ragione della differente nazionalità. Il collegamento che viene posto dalla Provincia tra

provvedimento di diniego e interesse ad agire non è quindi corretto: il collegamento è, e

ciò è del tutto evidente per l’azione collettiva, tra requisito contestato e interesse ad

agire. L’avere inserito il requisito nel bando, come ha già rilevato il giudice di primo

grado, è già di per se stesso un comportamento lesivo del diritto, perché impedisce a

monte all’amministrazione di poter accogliere le domande dei soggetti privi di quel

requisito. L’inserimento del requisito nel bando è di per se stesso

“comportamento…della pubblica amministrazione che produce una discriminazione”

(art. 44 dlgs n. 286/1998).

Il fatto, da cui argomenta la Provincia per sostenere la propria tesi, che entrambe le parti

ricorrenti abbiano congiuntamente chiesto di accertare la natura discriminatoria del

provvedimento 29.10.19 con il quale è stata dichiarata inammissibile la domanda di

Daniel Bekele Tola perché privo del requisito della residenza decennale, è un semplice

svolgimento delle conseguenze che derivano dall’accertamento dell’effetto

discriminatorio del requisito e non è il riconoscimento della connessione dell’interesse

ad agire con un provvedimento da impugnare davanti al giudice amministrativo.

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Il secondo motivo di appello è inammissibile e infondato.

Innanzi tutto viene eccepita una “incompetenza per materia” con riferimento alle

assegnazioni dei procedimenti su base delle disposizioni tabellari interne dell’ufficio

giudiziario, quando l’incompetenza per materia attiene alla ripartizione della

giurisdizione tra uffici giudiziari. In secondo luogo non viene indicato quale sia il

provvedimento tabellare in forza del quale l’eccezione è sollevata, indicazione

necessaria atteso che la semplice circostanza che sia introdotta una domanda con rito

ordinario sommario avente per oggetto l’accertamento di una condotta discriminatoria,

ancorché (in ipotesi) non collegata alla materia del lavoro o della previdenza/assistenza,

non determina di per se stessa una incompatibilità con l’assegnazione al magistrato con

funzioni di giudice del lavoro se ciò è previsto, appunto, dalla tabella. Infine, una

violazione tabellare non determina alcun vizio della sentenza (artt. 353 e 354 cpc) e nel

presente grado non può venire in rilevo sotto alcun profilo atteso che la sezione che

tratta l’affare è quella che è tabellarmente assegnataria dei procedimenti in materia non

solo del lavoro ma anche di diritti della persona.

Il terzo motivo di appello è infondato.

La Provincia Autonoma condivide l’affermazione del giudice di primo grado e ribadisce

che “L’effetto diretto del diritto europeo costituisce quindi il limite alla configurabilità

dell’obbligo di disapplicazione da parte del giudice nazionale”, ma nega che l’art. 11

comma 1 lett. f) della direttiva n. 2003/109/CE (che vieta disparità di trattamento non

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obiettivamente giustificata nei confronti dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo

periodo per quanto riguarda l’ “accesso… alla procedura per l'ottenimento di un

alloggio”) contenga disposizioni incondizionate e sufficientemente precise, tali da poter

essere invocate dai singoli nei confronti dello Stato e più in generale nei confronti dei

soggetti pubblici.

La materia è stata oggetto di valutazioni contrastanti nella giurisprudenza di merito: più

volte è stato rimesso alla Corte Costituzionale il giudizio sulla legittimità delle norme

che hanno introdotto requisiti temporali di residenza più estesi rispetto a quanto previsto

con il d. lgs. n. 3/07 di attuazione della direttiva (il cui art. 1 ha sostituito l’art. 9 comma

12 lett. c) del d. lgs. n. 286/98), scelta che esclude l’efficacia diretta dell’art. 11 della

direttiva con disapplicazione delle disposizioni in violazione.

Afferma la Provincia che “il concetto dell’efficacia diretta può essere correttamente

riferito soltanto alla direttive non attuate …Diversamente, se la direttiva è recepita dallo

Stato membro, i singoli sono destinatari di posizioni soggettive come conseguenza

dell’atto interno di attuazione.” L’ affermazione potrebbe in astratto essere condivisibile,

ma non si vede come possa incidere sulla questione dell’efficacia diretta in relazione a

disposizioni di legge provinciali di cui si assume il contrasto con la direttiva. La tesi che

l’appellante sostiene, argomentando da tale affermazione, della impossibilità della

disapplicazione della norma interna in contrasto con disposizioni della direttiva chiare,

precise e incondizionate una volta che la direttiva sia stata recepita con un

provvedimento legislativo (essendo invece necessario adire la Corte Costituzionale), è

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infatti priva di base normativa o giurisprudenziale. Se così fosse ben potrebbe lo Stato

membro, invece che rendersi inadempiente per inerzia, rendersi sistematicamente

inadempiente per violazione della direttiva, senza possibilità di disapplicazione della

norma contrastante e di attuazione conforme al diritto dell’Unione, imponendo per ogni

violazione il ricorso prima all’autorità giudiziaria e poi tramite questa alla Corte

Costituzionale.

Ritiene questa Corte di condividere l’orientamento giurisprudenziale, espresso dal

Tribunale, fatto proprio anche dal giudice di legittimità (Cass. n. 1165/17, n. 28745/19)

che riconosce all’art.11 della direttiva 2003/109 CE efficacia diretta, in quanto

sufficientemente precisa e incondizionata.

L’art. 11 comma 1 lett. f) dispone che il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso

trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda “l'accesso a beni e servizi a

disposizione del pubblico e all'erogazione degli stessi, nonché alla procedura per

l'ottenimento di un alloggio”, che è esattamente la fattispecie oggetto della controversia,

mentre il comma 2 consente di limitare “la parità di trattamento ai casi in cui il

soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui questi chiede la prestazione, ha

eletto dimora o risiede abitualmente nel suo territorio”, ma in modo espresso in sede di

trasposizione nell’ordinamento interno (CGUE C- 303/2020, C- 303/2919, C 449/16, C

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571/10) e con i limiti e la finalità indicate per la facoltà di deroga (CGUE C- 303/2919,

C 571/10).

Lo Stato italiano non ha esercitato la deroga e, se per ipotesi l’avesse esercitata, la

deroga avrebbe dovuto avere quale finalità quella di vincolare il beneficio all’effettività

dello stabilimento sul territorio, escludendo coloro che, pur lungo soggiornanti, non

fossero dimoranti o abitualmente residenti. In entrambi i casi, non esercizio ed esercizio

in conformità alla direttiva con una disposizione specifica, una volta che la scelta è stata

attuata con l’inerzia o con l’integrazione della direttiva, non viene meno la natura non

condizionata e precisa dell’obbligo di parità di cui all’art. 11 e la sua conseguente

efficacia diretta nei rapporti verticali, eventualmente declinato sulla deroga legittima.

Anche muovendo dalla (contestata) legittimità dell’esercizio da parte della Provincia, in

ragione della competenza in materia, della facoltà di cui al comma 2 dell’art. 11 in via

legislativa e sostitutiva rispetto allo Stato italiano, questa facoltà di introdurre un criterio

di effettività di stabilimento sul territorio, in conformità alle pronunce della Corte

Costituzionale, era già stata esercitata, come ha osservato il giudice di primo grado, con

il requisito della residenza triennale sul territorio provinciale, trattandosi appunto di

criterio che esprime il collegamento con l’esigenza al cui soddisfacimento è preposta

l’attività dell’ente territoriale nello specifico settore. Questo rilievo non è privo di

“pregio”, come sostiene l’appellante, perché il requisito è previsto dalla legge

provinciale per tutti i richiedenti l’assegnazione di un alloggio popolare. Il fatto che sia

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introdotto un criterio di effettività uguale per tutti, senza differenziare il cittadino

straniero soggiornante di lungo periodo, non priva il criterio di validità in relazione al

comma 2 dell’art. 11 della direttiva, semplicemente (ed eventualmente) non costituisce

una deroga al principio di parità consentita da questa disposizione (del resto è noto che

la protezione sociale della Provincia non è assicurata con la stessa intensità sul resto del

territorio nazionale e il criterio di effettività ha una finalità selettiva anche in questa

prospettiva). Il medesimo rilievo critico di non pertinenza alla materia del contendere

svolto dall’appellante, per il requisito della residenza triennale, sarebbe, del resto

estensibile anche al nuovo criterio, qui in contestazione, della residenza decennale sul

territorio dello Stato, che è stato introdotto con la LP del 2019, che ugualmente non

introduce differenziazioni e che si porrebbe come rafforzativo della stessa finalità.

Sulla questione della riserva allo Stato membro della facoltà di deroga, che secondo la

Provincia di per se stessa impedirebbe l’efficacia diretta in quanto renderebbe la

disposizione non incondizionata, e sull’esercizio di detta facoltà sono dirimenti le recenti

sentenze della Corte di Giustizia e in particolare, per la controversia in esame, la

sentenza nella causa C 303 – 19, sentenze con le quali, ribadendo i precedenti arresti, è

stato nuovamente chiarito che la facoltà di introdurre deroghe al diritto alla parità di

trattamento previste dalle direttive in tanto può essere invocata in quanto lo Stato

membro abbia espresso chiaramente l’intenzione di esercitarla: “la direttiva 2003/109

prevede un diritto alla parità di trattamento, che costituisce la regola generale, ed elenca

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le deroghe a tale diritto che gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire, da interpretare

invece restrittivamente. Tali deroghe possono dunque essere invocate solo qualora gli

organi competenti nello Stato membro interessato per l’attuazione di tale direttiva

abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi delle stesse (v., in tal senso,

sentenze del 24 aprile 2012, Kamberaj, C 571/10, EU:C:2012:233, punti 86 e 87, nonché

del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C 449/16, EU:C:2017:485, punto 29).”

Nella stessa sentenza C. 3030/19 la Corte ha altresì rilevato che il legislatore italiano,

recependo la direttiva, non ha esercitato la deroga e ha non espresso l’intenzione di

avvalersene, con la conseguenza che, in assenza dell’esercizio della facoltà, il principio

di parità di trattamento previsto della direttiva, per i soggiornanti di lungo periodo, è

produttivo di effetti diretti verticali.

Ne deriva che, nei rapporti verticali, come quelli che vengono qui in considerazione, le

autorità amministrative, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia,

nell’attività di loro competenza devono dare attuazione al diritto dell’Unione,

disapplicando la norma interna in contrasto con le disposizioni della direttiva e che, in

difetto, alla disapplicazione si deve provvedere in sede giurisdizionale.

In altri termini: gli Stati membri possono stabilire quali sono le prestazioni sociali che

vengono assicurate ai cittadini e, nei limiti in cui non vi sia legittimo esercizio della

facoltà di deroga, in forza del principio di parità di trattamento previsto delle direttive, i

soggiornanti di lungo periodo devono avere accesso alle medesime prestazioni.

Disposizioni limitative costituiscono inadempimento e devono essere disapplicate

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essendo il diritto alla parità di trattamento, così come previsto dalle direttive, produttivo

di effetti diretti nei rapporti verticali.

Ne consegue altresì che, in assenza di un legittimo esercizio della facoltà di deroga, la

disapplicazione delle norme in violazione del principio di parità stabilito dalla direttiva

comporta, secondo la giurisprudenza della Corte, l’estensione del trattamento previsto

per la categoria di beneficiari privilegiata alla categoria svantaggiata dalla norma

disapplicata (causa C-406/15, Milkova).

Con il quarto motivo di impugnazione l’appellante lamenta l’erronea statuizione in

ordine all’acceso al contributo integrativo, in assenza di domanda da parte di Daniel

Bekele Tola, con conseguente illegittimità dell’accertamento della illegittimità e della

disapplicazione dell’art. 3 comma 2 bis della L.P. 15/2005, oltre che per le ragioni già

esposte sulla assenza dei presupposti per la disapplicazione, anche perché non

preordinati alla decisione sul caso concreto. Il motivo di impugnazione è strettamente

connesso all’appello incidentale con il quale ci si duole dell’omissione di pronuncia in

dispositivo, nonostante l’articolata esposizione degli argomenti per l’accoglimento

esposti nella motivazione dell’ordinanza, sulla domanda relativa al contributo

integrativo.

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La prima osservazione che si impone è che non è oggetto di impugnazione la statuizione,

pienamente condivisa da questa Corte, dell’ordinanza (ampiamente argomentata con

larghi richiami anche alla giurisprudenza della Corte di Giustizia sentenza Kamberaj, e

della Corte Costituzionale sentenza n. 44/20, n. 217/88, n. 106/18, n. 166/88, n. 38/16, n.

168/14, n. 209/09 e n. 404/88), della natura di prestazione essenziale di assistenza e

protezione sociale del contributo integrativo e nemmeno l’affermazione, consequenziale,

che è precluso al legislatore provinciale limitare la parità di trattamento in ordine al

contributo integrativo ex art. 1 co.3 lett. c) L.P. 15/2005, in ragione del disposto dell’art.

11 co.1, lett. d) e paragrafo 4 della direttiva n. 2003/109/CE, norma incondizionata e

sufficientemente precisa. Le affermazioni apparentemente in dissenso contenute nel

quinto motivo di impugnazione (relativo all’onere della prova della discriminazione)

non attengono sotto alcun profilo all’articolata motivazione sul punto dell’ordinanza

impugnata: la natura di prestazione essenziale viene negata nel quinto motivo di

impugnazione, ad altri fini, e senza il supporto di argomentazioni critiche, quali

sarebbero state assolutamente necessarie ex art. 342 cpc considerato che il giudice di

primo grado ha recepito principi e statuizioni della Corte Costituzionale.

Analogamente, va sottolineato, sempre in relazione al disposto dell’art. 342 cpc e senza

alcun formalismo, che la chiusura del motivo di impugnazione con il rinvio “in

subordine, anche prescindendo dal rilievo assorbente che precede e dunque anche

ammettendo che possa trovare legittimo ingresso nel presente giudizio la verifica di

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compatibilità della disposizione provinciale art. 3 comma 2 bis della L.P. 15/2005,

relativa al requisito di accesso al canone, valgono qui le stesse deduzioni sulla illegittima

disapplicazione svolte nel motivo che precede da intendersi qui parimenti riportate” è

inammissibile: il richiamo alle argomentazioni precedenti è generico e non può essere

colmato, attesa la diversa motivazione dei due capi di sentenza che non consente alcun

rinvio ricettizio.

La Provincia afferma che Daniel Bekele Tola non avrebbe però presentato domanda per

il contributo integrativo sul libero mercato e per casi di particolare necessità e disagio ex

art. 1 lett. f) del regolamento attuativo LP n. 15/2005 (quello di cui artt. 22 L.P. 15/2005,

21 del DPP 12/12/2011, n. 17 – 75 /leg regolamento esecutivo della legge), con la

conseguenza della inammissibilità e abnormità dell’accertamento e della disapplicazione

dell’art. 3 comma 2 bis della L.P. 15/2005, poiché non rilevanti per la decisione, come

sarebbe confermato dal dispositivo dell’ordinanza che non menziona il contributo.

Innanzi tutto rileva la Corte che Daniel Tola, con le conclusioni del ricorso di primo

grado, dopo avere illustrato la normativa provinciale in materia di assegnazione alloggi e

contributo, ed affermato “che i soggetti ammessi nella graduatoria per l’assegnazione

dell’alloggio, ma non risultati effettivi assegnatari per limitata disponibilità degli alloggi,

fruiscono del contributo economico integrativo”, ha chiesto, oltre che l’inserimento nella

graduatoria per l’assegnazione dell’alloggio, anche la condanna del Comune di Trento a

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“pagare al ricorrente, per tutto il periodo di mancata assegnazione dell’alloggio, il

contributo integrativo di cui all’art. 1 co. 3 lett. B LP 15/2005 e all’art. 31 ter della

Deliberazione della giunta provinciale 29 marzo 1993, n. 3998 (15), nella misura

prevista dalla LP 15/2005.”

La domanda giudiziale quindi è stata proposta, anche se, come sostiene la Provincia, con

un riferimento normativo erroneo, ed è stata doverosamente esaminata.

Diversa è la questione, adombrata dalla Provincia, se la domanda fosse o no accoglibile

(come ritenuto dal giudice di primo grado) in assenza di una precedente domanda

amministrativa separata, autonoma, rispetto a quella di assegnazione dell’alloggio, in

presenza di una normativa che collega le due misure prevedendo la contestualità e un

automatismo (v. art. 5 L n. 15/05, art. 31 ter delibera g.p. 3998/93. come modificata con

del.g.p.12.7.02 n. 1619) e se la mancanza di questa domanda amministrativa produca

una sorta di improcedibilità (analoga a quella dell’art. 443 cpc) rispetto a una azione

giudiziaria che ha per oggetto una disposizione (e la conseguente condotta attuativa) di

cui si assume la natura discriminatoria, che necessariamente comprende entrambe le

misure tra loro collegate. E’ la stessa Provincia a sottolineare, in relazione

all’assegnazione dell’alloggio sociale, che va “considerato che tale beneficio è

alternativo rispetto al contributo integrativo al canone di mercato e ne condivide pertanto

le medesime condizioni di accesso”.

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Il giudice di primo grado ha affermato “che la controversia promossa dal ricorrente

TOLA non ha per oggetto solamente l’accesso alla locazione di un alloggio, ma,

concernendo la domanda un alloggio a canone sostenibile, anche una prestazione

economica, il contributo integrativo ex art. 1 lett. d) d.p.p. 12.12.2011, n. 17-75/Leg, la

cui natura assistenziale appare certa alla luce del disposto ex art. 1 co. 3 lett. b) L.P.

15/2005.” L’affermazione è stata oggetto di censura specifica solo ai fini della

contestazione della natura assistenziale del contributo ex art. 442 cpc e della attribuzione

alla competenza funzionale del giudice del lavoro. Non è stata svolta all’interno del

quarto motivo di impugnazione alcuna censura in relazione alla statuizione della non

necessità della domanda amministrativa. Si tratta quindi di una questione, quella della

necessità di due distinte domande amministrative, non argomentata e non posta in questo

grado.

Inoltre, come ha evidenziato ASGI, si tratta di una questione divenuta sostanzialmente

irrilevante atteso “che ASGI ha certamente formulato una “domanda collettiva” riferita

anche al contributo integrativo affitti (domande sub 2e e 2f11) e dunque se la domanda è

(o sarà) accolta, il sig. Tola – quand’anche non l’avesse presentata – sarà certamente

abilitato a presentare domanda, al pari di tutti gli stranieri privi del requisito di residenza

decennale. Da una specifica statuizione in suo vantaggio su questo punto, il sig. Tola

potrebbe solo trarre il vantaggio di uno specifico titolo di pagamento (domanda sub 2c

delle conclusioni) ma tale domanda non è stata considerata dal primo giudice e non

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viene qui riproposta, anche perché la medesima somma gli potrà derivare – appunto –

dalla successiva proposizione della domanda”.

Il quarto motivo di appello principale è quindi inammissibile, oltre che superato dalle

conclusioni degli appellati, non essendo necessaria alcuna domanda amministrativa per

l’azione collettiva.

E’, invece, fondato il motivo di appello incidentale, con il quale è rilevata una omissione

materiale nel dispositivo, che ai punti 10 – 13 non menziona il bando per il contributo

integrativo all’affitto, nonostante l’accoglimento della domanda ampiamente motivato

nel corpo dell’ordinanza. Il dispositivo va quindi integrato ex art. 287 cpc.

Il quinto motivo di appello è infondato.

La Provincia illustra diffusamente il collegamento tra le modificazioni introdotte nella

normativa provinciale di cui agli artt. 3 e 5 della legge provinciale n. 15/05 (che

disciplina gli interventi provinciali in materia di edilizia abitativa), con l'art. 38 della LP

n. 5/19 di assestamento del bilancio, e la normativa statale in materia di reddito di

cittadinanza, che all’art. 2, comma 1, lettera. a), DL n. 4/19, convertito nella L n. 26/19,

prevede quale requisito di accesso la residenza sul territorio italiano da almeno dieci

anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo: vi sarebbe stata la necessità di un

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coordinamento tra la misura statale e gli strumenti di sostegno ai nuclei familiari previsti

dalla normativa provinciale aventi la medesima finalità, con la conseguenza che “Se lo

Stato ha ritenuto ragionevole un requisito di residenza decennale in relazione al reddito

di cittadinanza, a maggior ragione dovrebbe esserlo con riguardo all'edilizia pubblica.”

La tesi non può essere condivisa.

L’esistenza di altro provvedimento legislativo che contiene lo stesso criterio di accesso a

un trattamento assistenziale non costituisce sotto alcun profilo una giustificazione se il

criterio realizza una discriminazione vietata.

Non vi è, poi, alcuna omogeneità tra le misure di sostegno: l’una volta a integrare il

reddito per i soggetti in stato di disoccupazione o occupazione parziale, in un quadro di

interventi volti a promuovere la rioccupazione in posizioni lavorative adeguatamente

remunerate e le altre dirette a soddisfare le esigenze primarie di alloggio di nuclei

familiari in situazione di disagio. Inoltre, le esigenze di alloggio adeguato hanno un

diverso rilievo per un ente territoriale, che deve confrontarsi con la marginalità sociale e

il disagio da mancanza di condizioni abitative adeguate sul proprio territorio, da cui

deriva la necessità di adottare misure idonee a fronteggiare questo specifico problema.

Non solo, ma dalla illustrazione delle difese dell’appellante non emerge alcuna necessità

di adottare il requisito contestato della residenza decennale sul territorio dello Stato per

coordinare il contributo per canone di locazione a carico della Provincia con la quota di

reddito di cittadinanza destinata ad analogo scopo. Non si vede infatti alcun

impedimento o disarmonia per il divieto il cumulo, senza la contestuale introduzione del

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requisito di cui si discute, per l’accesso alle misure di sostegno previste dalla normativa

provinciale (e ovviamente tanto meno lo si può rappresentare per l’assegnazione

dell’alloggio). Non si tratta quindi di una misura oggettivamente giustificata da una

finalità legittima (il coordinamento con la normativa statale) e tanto meno necessitata.

Con lo stesso motivo di impugnazione si afferma che gli elementi considerati dal giudice

di primo grado per affermare la disparità di trattamento, ovvero i dati statistici e i criteri

di ragionevolezza desunti dalla giurisprudenza costituzionale in casi analoghi o identici,

non sono idonei a dimostrare che la normativa provinciale contestata integri una

discriminazione indiretta.

Le censure sono infondate.

Oggetto della controversia è l’accertamento della idoneità della normativa provinciale in

materia di alloggio e contributo integrativo a determinare una situazione di particolare

svantaggio per gli stranieri, UE o titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti

di lungo periodo ex art. 9 d.lgs. 286/1998, rispetto ai cittadini italiani, attraverso un

criterio apparentemente neutro, quale è il requisito della residenza decennale sul

territorio nazionale richiesto indifferentemente a tutti coloro che fanno domanda di

assegnazione trovandosi nelle condizioni reddituali indicate dalle varie disposizioni. Il

principio di parità di trattamento è sancito dall’art. 11, paragrafo 1, lettera f), della

direttiva 2003/109/CE, dall’art. 43 TU immigrazione e per i cittadini dell’Unione,

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dall’art. 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE e la violazione autorizza l’azione

civile contro la discriminazione, ai sensi dell’art. 28 del d. lgs. n. 150/2011.

L’art. 28 d. lgs. n. 150/2011 comma 4 prima parte stabilisce: “Quando il ricorrente

fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può

presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto

l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione”. La disposizione è da intendersi

ed è intesa dalla giurisprudenza nel senso di una agevolazione nel ragionamento

presuntivo, in assenza di una prova diretta, che si esprime nel porre a carico del

soggetto, che si afferma autore della discriminazione, l’onere della prova che gli

elementi di fatto dedotti e dimostrati da chi agisce per la tutela, che autorizzano un

giudizio di verosimiglianza dell’effetto o trattamento sfavorevole in quanto precisi e

concordanti, ancorché non gravi, non hanno il significato che viene attribuito e non

sono idonei a fondare un accertamento della esistenza della discriminazione in relazione

al fattore protetto.

Sono questi il contesto normativo e la finalità della valutazione degli elementi di prova

offerti dalle parti ricorrenti e di cui la Provincia contesta l’idoneità a dimostrare l’effetto

discriminatorio del requisito della residenza decennale sul territorio nazionale.

Si tratta di contestazioni a contenuto apodittico e che non considerano correttamente il

dato statistico.

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Il primo rilievo è di carattere immediatamente intuitivo: è di generale percezione, in base

all’esperienza comune, che il requisito di una residenza prolungata sul territorio ricorre

meno facilmente per gli stranieri, soprattutto in un contesto migratorio relativamente

recente, rispetto ai cittadini e più il requisito viene temporalmente esteso e più si amplia

questo divario. Il dato statistico allegato dai ricorrenti non contestato dalla Provincia è di

semplice conferma: “gli stranieri in Italia al 1.1.2009 erano 3.891.0003 a fronte di

5.255.000 al 1.1.20194 con la conseguenza che (salvo modesti effetti della rotazione)

1.364.000 stranieri non hanno il requisito di residenza decennale, cioè una quota pari

al 25,9 % del totale di stranieri attualmente residenti in Italia” a differenza dei cittadini

che, esclusi fenomeni marginali di trasferimento stabile all’estero, posseggono tutti il

requisito della residenza decennale.

Il dato numerico da apprezzare è che uno straniero su quattro non ha il requisito

richiesto, posseduto invece da tutti i cittadini. Si tratta di un dato che questa Corte ritiene

sicuramente dimostrativo di un effetto particolarmente sfavorevole, che la Provincia

contesta apoditticamente, da un lato richiamando giurisprudenza non pertinente in

termini di paragone per diversità della selezione dei campioni di riferimento per

l’apprezzamento del dato statistico o del contesto normativo di riferimento (Corte di

Giustizia sentenza Schonhait C-4/02 e C-5/02, Corte EDU sentenza 13 novembre 2007,

D.H. e a. c. Repubblica ceca n. 57325/00), dall’altro negando il rilevante effetto

discriminatorio nonostante l’evidenza e giustapponendo una valutazione per la quale “la

percentuale del 25,9% non rappresenta una quota sufficientemente significativa sulla

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quale fondare una presunzione di discriminazione, tanto meno per ritenerla provata”.

L’affermazione si fonda su una sovrapposizione della nozione di particolare svantaggio

al riferimento ai dati statistici ai fini della prova dell’esistenza dello svantaggio. Il dato

numerico, ossia l’incidenza sui soggetti portatori del fattore protetto, è semplicemente

strumentale a provare l’esistenza dell’effetto discriminatorio, mentre il particolare

svantaggio va inteso con riferimento alla condizione (di contesto) di difficoltà o

impossibilità per i soggetti portatori del fattore protetto ad avere riconosciuti i medesimi

diritti, dovendo partire da quella situazione di svantaggio (Corte di Giustizia C-83/14,

sentenza Chez: “non è richiesto nessun grado particolare di gravità per quanto riguarda il

particolare svantaggio”).

Inoltre, l’argomento dell’appellante, tratto dalla giurisprudenza che viene richiamata, si

fonda su una estrapolazione logica non condivisibile (poiché nei casi esaminati le

percentuali statistiche era più significative allora nel caso in esame è da escludere il

particolare svantaggio) e ignora completamente la vastissima giurisprudenza della Corte

di Giustizia (sentenza del 7.5.1998, Clean Car Autoservice, C-350/96,

ECLI:EU:C:1998:205, punto 29; del 7 maggio 1998, Ciola, C-224/97,

ECLI:EU:C:1999:212, punto 14; del 16 gennaio 2003, Commissione/Italia, C-388/01,

ECLI:EU:C:2003:30, punto 14; del 15 marzo 2005, Bidar, C-209/03,

ECLI:EU:C:2005:169, punto 53; del 25 gennaio 2011, Neukirchinger, C-382/08,

ECLI:EU:C:2011:27, punto 34; nonché del 14.6.2012, Commissione europea/ Regno dei

Paesi Bassi, C-542/09, punto 38) e della Corte Costituzionale (sentenze n. 168/2004, n.

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106/2018, n. 44/2020, n. 281/2020) ampiamente richiamata dal giudice di primo grado e

dai ricorrenti, che ha affrontato il tema specifico dell’effetto discriminatorio del requisito

di residenza prolungata per accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, assistenza e di

contrasto alla povertà, anche con riferimento a casi identici a quello in trattazione.

.

La Provincia non ha riproposto, perché ritenute assorbite, questioni attinenti alla finalità

legittima rappresentata dall’esigenza di assicurare che l’assegnazione degli alloggi e i

contributi siano diretti a soddisfare esigenze abitative di persone che abbiano un legame

sufficientemente stabile con il territorio e, conseguentemente, le questioni che attengono

alla valutazione del requisito contestato come mezzo appropriato e necessario secondo

criteri di proporzionalità e ragionevolezza (“La mancanza di prova o la prova

insufficiente dell’effetto discriminatorio delle disposizioni censurate non può essere

supplita con valutazioni sulla ragionevolezza e proporzionalità del requisito di residenza

decennale. Tali valutazioni competono semmai al Giudice delle leggi e non possono

essere effettuate dal Giudice ordinario per “integrare” un quadro probatorio manchevole

e insufficiente. L’intero impianto argomentativo sulla prova dell’effetto discriminatorio

non può che essere cassato, con accertamento che non vi è discriminazione indiretta

alcuna”).

Il rilievo esime questa Corte da motivare in merito (benché sia del tutto evidente che il

requisito della residenza decennale sul territorio dello Stato non possa esprimere alcun

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criterio di collegamento tra l’esigenza abitativa da soddisfare e il radicamento in ambito

provinciale).

L’appello incidentale è fondato anche per quanto riguarda la limitazione contenuta nel

dispositivo ai soli cittadini di paesi extra Unione Europea, non essendovi alcuna ragione

per escludere i cittadini italiani e dell’Unione Europea (ex art. 24 direttiva 2004/38 e

art.7, comma 2 Regolamento 492/11), esclusione che determinerebbe una

discriminazione alla rovescia. Anche per questo capo del dispositivo si tratta di un errore

od omissione/errore materiale che deve essere corretto. La Provincia mantiene la propria

opposizione all’accoglimento della domanda (v. memoria di replica) benché, come

risulta dagli atti e provvedimenti della stessa (prodotti dagli appellati e acquisti

trattandosi dell’adempimento all’ordinanza impugnata), abbia già provveduto in questo

senso alla modifica dei bandi, così come ha autonomamente provveduto a eliminare il

requisito della residenza decennale sul territorio dello Stato anche per il contributo

integrativo per il canone di locazione. L’opposizione alla correzione ne determina la

soccombenza anche rispetto a questa domanda.

Le spese processuali, nei rapporti tra le parti costituite, seguono la soccombenza e

vengono liquidate in dispositivo in base all’attività di difesa svolta e ai parametri di

compenso professionale in vigore.

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Nulla per le spese nei rapporti con il Comune di Trento attesa la contumacia e la

conseguente non opposizione alla modifica della sentenza secondo quanto chiesto con

l’appello incidentale.

PQM

respinge l’appello principale contro l’ordinanza 138/2020 del Tribunale di Trento e in

accoglimento dell’appello incidentale così ne corregge il dispositivo:

“1. Rigetta l’eccezione, sollevata dagli enti convenuti, di difetto di giurisdizione del

tribunale di Trento in funzione di giudice del lavoro.

2. Rigetta l’eccezione di incompetenza rectius di rito sollevata dal COMUNE DI

TRENTO.

3. Rigetta l’eccezione, sollevata dagli enti convenuti, di difetto di legittimazione attiva

dell’ASSOCIAZIONE ricorrente.

4. Rigetta l’eccezione, sollevata dal COMUNE DI TRENTO, di difetto di interesse ad

agire in capo all’ASSOCIAZIONE ricorrente.

5. Rigetta l’eccezione, sollevata dalla PROVINCIA DI TRENTO, di difetto della propria

legittimazione passiva.

6. Dichiara che l’art. 11 co.1, lett. d) ed f) della direttiva 25/11/2003, n. 2003/109/CE

contiene norme incondizionate e sufficientemente precise.

7. Dichiara che le disposizioni ex art. 5 co.2bis ed ex art. 3 co.2bis L.P. 7.11.2005, n. 15

sono incompatibili con il principio della parità di trattamento tra soggiornanti di lungo

periodo e cittadini nazionali ex art. 11 co.1, lett. f) e, rispettivamente, ex art. 11 co.1 lett.

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d) della direttiva 25/11/2003, n. 2003/109/CE, nella parte in cui subordinano

l’ammissibilità della domanda volta all’assegnazione di un alloggio a canone sostenibile

in locazione al possesso del requisito della residenza decennale nel territorio nazionale e,

quindi, alla luce del principio del primato del diritto dell’Unione Europea sul diritto

interno, devono essere disapplicate.

8. Ordina al COMUNE DI TRENTO di ammettere il ricorrente TOLA DANIEL

BEKELE, con effetto dal 30.9.2019, nella graduatoria per l’accesso a un alloggio a

canone sostenibile in locazione nella medesima posizione in cui sarebbe stato collocato

qualora la sua domanda non fosse stata dichiarata inammissibile.

9. Condanna il COMUNE DI TRENTO al pagamento in favore del ricorrente TOLA

DANIEL BEKELE, della somma di € 50,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione

dell’ordine di ammissione nella graduatoria sub 8, con decorrenza dal sessantunesimo

giorno successivo alla data odierna.

10. Ordina al COMUNE DI TRENTO di ammettere nella graduatoria per l’accesso agli

alloggi pubblici a canone sostenibile in locazione per l’anno 2019 anche i richiedenti

privi del requisito della residenza decennale sul territorio nazionale.

11. Ordina alla PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO di riaprire, in favore dei

titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 co.1

d.lgs. 286/1998, dei cittadini italiani e dei cittadini UE anche se privi del requisito della

residenza decennale sul territorio nazionale, i termini di presentazione delle domande

relative agli eventuali alloggi pubblici a canone sostenibile non ancora assegnati

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relativamente all’anno 2019 e al contributo integrativo al canone di locazione di cui

all’art. 3 L.P. 15/2005 relativamente all’anno 2019.

12. Ordina al COMUNE DI TRENTO e alla PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

di dare adeguata informazione alla popolazione della intervenuta modifica dei requisiti

di partecipazione al bando 2019 mediante pubblicazione della presente ordinanza nel

sito istituzionale del COMUNE e della PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO per tre

mesi, con richiamo nelle rispettive home page.

13. Ordina al COMUNE DI TRENTO e alla PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

di adottare, ai sensi dell’art. 28 d.lgs. 150/2011, un piano di rimozione idoneo ad evitare

il reiterarsi della discriminazione, che comprenda la modifica del “Regolamento in

materia di edilizia abitativa pubblica (legge provinciale 7 novembre 2005, n. 15

"Disposizioni in materia di politica provinciale della casa e modificazioni della legge

provinciale 13 novembre 1992, n. 21” ex d.p.p. 12.12.2011, n. 17-75/Leg nella parte in

cui esige ai fini dell’ammissibilità delle domande di accesso a un alloggio a canone

sostenibile in locazione e al contributo integrativo al canone di locazione di cui all’art. 3

L.P. 15/2005 per gli anni successivi al 2019, il possesso del requisito della residenza

decennale nel territorio nazionale, nonché l’inserimento nei conseguenti provvedimenti e

atti amministrativi della determinazione per cui, ai fini dell’ammissibilità delle domande

di accesso a un alloggio a canone sostenibile e al contributo integrativo per gli anni

successivi al 2019, non è più previsto il requisito della residenza decennale nel territorio

nazionale.

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14. Condanna il COMUNE DI TRENTO e la PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO,

al pagamento in favore della ASSOCIAZIONE PER GLI STUDI GIURIDICI

SULL’IMMIGRAZIONE della somma di € 50,00 per ogni giorno di ritardo

nell’esecuzione degli ordini sub 10, 11, 12, 13 e 14, con decorrenza dal sessantunesimo

giorno successivo alla data odierna.

15. Rigetta la domanda, proposta dal ricorrente TOLA DANIEL BEKELE nei confronti

del COMUNE DI TRENTO, di risarcimento danni.

16. Condanna il COMUNE DI TRENTO e la PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

alla rifusione, in favore dei ricorrenti TOLA DANIEL BEKELE e ASSOCIAZIONE

PER GLI STUDI GIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE, delle spese di giudizio,

liquidate nella somma di € 3.000,00, maggiorata del 15% per spese forfettarie ex art. 2

co.2 d.m. 10.3.2014, n. 55, oltre ad IVA e CNPA, con distrazione in favore degli

avvocati Giovanni Guarini e Alberto Guariso, che si sono dichiarati antistatari, ai sensi

dell’art. 93 co.1 cod.proc.civ.”;

ordina alla PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO di dare adeguata informazione alla

popolazione della intervenuta modifica dei requisiti di partecipazione al bando 2019,

così come disposto ad integrazione con la presente sentenza, mediante pubblicazione

della presente sentenza nel sito istituzionale della Provincia per tre mesi, con richiamo

nella home page e condanna la PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO al pagamento

in favore di ASGI della somma di euro 50 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione di

questo ordine con decorrenza dal sessantunesimo giorno successivo alla data di

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pubblicazione della presente sentenza; condanna la Provincia di Trento alla rifusione

delle spese processuali del grado in favore di Daniel Bekele Tola e ASGI, liquidate in

complessivi € 4.500,00, oltre rimborso 15% spese forfettarie e accessori di legge, con

distrazione.

Dichiara che sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti della Provincia del

comma 1 quater art. 13 dpr n. 115/02.

Trento 9 giugno 2021

Il Consigliere estensore Il Presidente

(dott. Anna Luisa Terzi) (dott. Anna Maria Creazzo)

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